Commentario a Le cinquanta stanze di devozione al Guru

Ciampa Ghiatso

Insegnamento dato dal Ven. Ghesce Ciampa Ghiatso presso il Centro Ewam di Firenze il 26-27 novembre 1999.

Parte 2 di 2

Il diciannovesimo verso dice: “Proteggete sempre i vostri impegni. Presentate continuamente offerte agli Esseri illuminati. Fate ogni giorno anche offerte al vostro Guru, poiché egli è simile a tutti i Buddha”.

Qui si parla di fare offerte al Guru e, in questo, modo proteggere gli impegni. Vi sono diversi tipi di impegni da rispettare: di offerta, segreti, della parola, eccetera e ciascuno di essi è associato a delle specifiche attività. In questo verso si esorta ad assolvere l’impegno relativo alle offerte facendo, appunto, offerte al proprio Guru diverse volte al giorno. Un altro impegno è quello di generarsi nell’aspetto della divinità e compiere ciò che viene chiamato lo “yoga della divinità”.

Durante l’iniziazione del Maestro vajra, e precisamente durante l’iniziazione del vaso, riceviamo tre impegni: del vajra, che è l’impegno della mente; della campana, che è l’impegno della parola, e del mudra, che equivale all’impegno del corpo. Un altro impegno, quello della segretezza, consiste nel non mostrare le sostanze segrete, come ad esempio il vajra e la campana, ad altri.

L’impegno del vajra consiste nel portare alla mente il significato espresso dal vajra come simbolo esterno. Il significato definitivo del vajra è la saggezza suprema che realizza il suo oggetto, la vacuità, e quindi l’impegno del vajra consiste nel ricordare che il vajra rappresenta la saggezza suprema il cui oggetto direttamente realizzabile è la vacuità dei fenomeni. Poiché il vajra simbolizza la saggezza ecco che il vajra è un impegno della mente.

La campana è un impegno della parola e anche in questo caso si dovrebbe comprendere qual è il significato definitivo della campana, cioè la vacuità. Così come la parola rende chiari i significati attraverso l’espressione verbale, costituita dalla parola, la funzione della campana, il suono della campana, è quello di rendere noto il significato ultimo dei fenomeni, che è la vacuità, attraverso la comprensione dell’interdipendenza. Cioè, attraverso la comprensione di come si viene a formare il suono si induce la comprensione di come sia la natura interdipendente di tutti i fenomeni.

In generale, si dice che l’impegno del corpo è quello del mudra. Il mudra può essere interpretato come la gestualità fisica, che viene chiamato il mudra dell’abbraccio in cui il braccio destro e quello sinistro si incrociano al cuore formando un abbraccio. Questo può essere interpretato come essere l’impegno fisico del mudra.

Quindi, quando si parla di rispettare i propri impegni, si parla anche di rispettare questo tipo di impegni.

Le varie offerte esterne, interne, segrete o di talità, sono il mezzo per produrre velocemente grandi meriti che costituiscono il modo per poter ottenere velocemente il risultato. Quando si parla ad esempio di offerta della talità si intende riflettere sulla natura ultima dei fenomeni e questa è l’entità stessa dell’offerta che viene fatta.

Per quanto riguarda le offerte esterne, esse sono in accordo alla tradizione indiana del passato. Argham, padyam, pube, dupe, aloke, ghende, niude, sciapta sono gli otto oggetti di offerta in accordo al rituale  della tradizione indiana. Argham vuol dire acqua da bere: e questa è ciò che veniva offerto come prima sostanza, sotto forma di tè o altra bevanda rinfrescante, all’ospite. Padyam è l’acqua per il pediluvio, altra tradizione indiana in cui si rinfrescavano all’ospite i piedi accaldati dal lungo viaggio. Seguiva l’offerta della ghirlanda di fiori e del profumo, come quello prodotto da un incenso e poi le offerte di luci e dell’aspersione di acqua profumata e alla fine vi era l’offerta di cibo, cioè di niude. Come ultima offerta, congiuntamente a tutte le altre, gli ospiti venivano deliziati con musica, balli e danze. Le offerte che vengono presentate durante la pratica dello yoga della divinità sono in accordo a questa tradizione.

Per quanto riguarda l’offerta interiore si intende quell’offerta creata sulla base delle cinque carni e dei cinque nettari. Normalmente queste cinque carni e cinque nettari sono parti del corpo degli esseri senzienti che vengono offerte mescolando insieme questi vari ingredienti e facendone delle pillole da usare per la generazione delle offerte interiori. L’offerta interiore consiste quindi in queste cinque carni e cinque nettari e il suo principale scopo è quello di trasformare e potenziare i cinque aggregati psicofisici simbolizzati da queste cinque sostanze.

Abbiamo poi le offerte segrete e della talità. Le offerte segrete sono le offerte compiute durante le iniziazioni quando, nella visualizzazione, si genera una consorte che viene offerta al Maestro. Quando parliamo dell’offerta di talità ci riferiamo all’offerta della realtà ultima che viene realizzata dalla saggezza suprema.

Qual è lo scopo e la natura di tale offerta? La sua natura è la grande estasi e lo scopo è di far generare nella mente dell’oggetto di offerta, che può essere sia il Maestro sia la Divinità, un’estasi ancora più grande. Qualunque sia l’oggetto, il fine è quello di produrre estasi, attraverso le sostanze che vengono offerte, nella mente di tale oggetto.

Nel diciannovesimo verso è detto  di presentare continuamente offerte agli esseri illuminati e, così come a tal fine si offrono varie sostanze ai Buddha, allo stesso modo si deve fare nei confronti del Guru perché entrambi sono della stessa natura. Il fine di fare offerte al  Guru è quello di accumulare meriti per il raggiungimento del proprio traguardo. Di fatto, proprio per questa identità  tra Guru e Buddha, fare offerte al  Guru equivale a fare offerte a tutti i buddha.

Il ventesimo verso dice: “Coloro che desiderano (raggiungere) l’inesauribile (stato del Corpo di saggezza di Buddha) dovrebbero offrire al proprio Guru tutto ciò che essi stessi ritengono piacevole, dagli oggetti più insignificanti a quelli più preziosi”.

Qui si allude al fatto che la qualità dell’offerta è direttamente proporzionale all’accumulazione di meriti. Il proposito è di raggiungere lo ‘stato inesauribile’ quale, ad esempio il corpo, di saggezza di un buddha. A tal fine, dovremmo offrire ciò che riteniamo esserci di più prezioso. Viene definito ‘stato inesauribile’ perché il corpo di verità, o dharmakaya, è un corpo che permane fino a che esiste lo spazio.

Per quanto riguarda la qualità delle offerte, dovremmo cercare di donare ciò che riteniamo esserci di maggior valore, di migliore qualità. Per esempio, se offriamo del burro, dovremmo donare il miglior burro che ci sia e lo stesso vale per gli altri tipi di offerta, come la farina, i fiori eccetera, perché la qualità dell’offerta è in relazione al risultato che si vuole ottenere.

 

Il ventunesimo verso dice: “Donare (al Guru) equivale a presentare continue offerte a tutti i Buddha. Grande merito è accumulato da tale offerta. Da una tale accumulazione di meriti viene il supremo ottenimento (della Buddhità).”

Il messaggio è evidente: offrire al Guru equivale a fare offerte a tutti i buddha. La nostra offerta deve essere anche qualcosa che si protrae nel tempo: deve essere assidua e costante, avvenire ogni giorno e non solo ogni tanto.

Fare offerte in ogni istante della nostra giornata sarebbe un metodo per accumulare grandissimi meriti. Ricordate che la finalità è di accumulare una grande e vasta quantità di meriti. Se questo è il grande merito che viene accumulato, il suo risultato è il supremo ottenimento della buddhità, che è l’ottenimento dei tre corpi, l’unificazione dei corpi di buddha nel grande sigillo. Naturalmente, se attraverso questa pratica abbiamo la possibilità di avere gli ottenimenti supremi, quali ad esempio lo stato di unificazione, è chiaro che otterremo anche tutti gli altri tipi di ottenimenti, come quelli comuni. Nei cinque stadi di completamento del tantra di Guyasamaja, che vengono chiamati ‘i cinque stadi’, è detto: “Nel caso che abbandoniate tutti i rimanenti tipi di offerte, fate offerte al Guru”. Ciò significa che facendo offerte al proprio Guru ci si avvicina rapidamente allo stato di onniscienza. È fondamentale quindi fare offerte al proprio Guru. Di fatto, il Guru e il Buddha non dovrebbero mai essere considerati separabili ma dovrebbero essere visti come inscindibili.

 

Il ventiduesimo verso dice: “Perciò, un discepolo dotato di qualità come la compassione, la generosità, l’auto-controllo morale e la pazienza non dovrebbe mai considerare in modo distinto il Guru e Buddha Vajradhara”.

Il contenuto è chiaro: un discepolo dotato di qualità come la compassione, la generosità, la disciplina, l’etica, la pazienza, e anche delle altre due perfezioni, cioè un discepolo il cui continuum sia unito a una buona pratica delle sei perfezioni non dovrebbe vedere come entità distinte il proprio Guru e il Buddha, ma dovrebbe continuamente considerarli della stessa natura di Buddha Vajradhara. Quando si afferma che il discepolo deve possedere anche la qualità della compassione, si intende che per essere irreprensibile deve aver sviluppato in sé un intenso desiderio di separare gli esseri dalla sofferenza, dare loro la felicità e i mezzi per il raggiungimento dei loro scopi. Deve quindi possedere una mente di pieno altruismo il cui obiettivo è quello di liberare gli esseri dai loro disagi e dotarli di tutte le felicità desiderate.

Per quanto riguarda la generosità il verso si riferisce ai tre tipi di generosità: la generosità materiale, del proteggere la vita e del donare il Dharma. Queste sono le generosità che ‘adornano’ il discepolo idoneo. Per quanto riguarda la disciplina e l’etica, si intende la salvaguardia dei propri comportamenti in relazione all’abbandono delle attività negative, in particolare si intende quel tipo di etica il cui obiettivo è astenersi dalle dieci azioni negative. Per pazienza si intende quella tolleranza in grado di rimanere indisturbata di fronte ai mali e ai disagi creati da altre persone, una mente tollerante ed equilibrata nonostante i danni che provengono da altri.

Una persona che abbia integrato tali qualità nel proprio continuum mentale dovrebbe percepire il proprio Guru come inscindibile, inseparabile da Buddha Vajradhara.

 

Il ventitreesimo verso dice: “Se non dovreste mai neanche calpestare l’ombra (del vostro Guru) poiché ciò provocherebbe le stesse spaventose conseguenze derivanti dalla distruzione di uno stupa, è forse necessario aggiungere che non bisogna mai mettere i piedi sulle sue calzature o sedersi (sul suo posto o cavalcare) sulla sua cavalcatura?”.

Come vedete, il risultato di camminare sull’ombra del Guru equivale a quello di distruggere uno stupa. Sapete che distruggere uno stupa equivale ad accumulare un’enorme quantità di karma negativo e questo caso è molto simile: l’accumulazione di karma negativo è equivalente al calpestare l’ombra del proprio Guru. Lo stesso avviene se si calpestano le sue calzature, ci si siede al suo posto, si usa la sua sella: queste sono tutte azioni che comportano una grande accumulazione di karma negativo. È quindi consigliabile fare molta attenzione, e in ogni caso il punto fondamentale è che bisogna avere una particolare considerazione e uno speciale rispetto per il proprio Guru perché, in questo modo, si sarà in grado di accumulare moltissimo karma positivo.

Ovviamente questo comportamento è finalizzato alla nostra accumulazione di meriti perché al Maestro non succede nulla se passiamo sopra la sua ombra.

Il ventiquattresimo verso dice: “(Un discepolo) molto assennato dovrebbe obbedire alle parole del suo Guru con gioia ed entusiasmo. Se non avete la conoscenza o la capacità (di compiere ciò che vi dice), spiegate con parole gentili perché non siete in grado di soddisfarlo”.

Per semplificare questa affermazione, possiamo dire semplicemente che quando il Guru dà consigli coerenti con ciò che conosciamo e siamo in grado di portare a termine, allora lo si ringrazia e si porta a termine nel miglior modo possibile le sue istruzioni. Se il suo consiglio è al di là delle nostre capacità lo si ringrazia ugualmente e gli si comunica la nostra impossibilità a metterlo in pratica. Perché ho voluto qualificare il consiglio come idoneo o coerente?  Idoneo e coerente è in relazione alla vostra conoscenza e comprensione del Dharma. Il consiglio del Guru deve essere cioè idoneo e coerente con quelle che sono le istruzioni e gli insegnamenti dei canestri di sutra e tantra. Se il consiglio è coerente, ci si può giustificare nel caso non si sia in grado di portare a compimento tale consiglio.

Se invece, secondo noi, il consiglio non è coerente con la nostra conoscenza del Dharma e i canestri di sutra e tantra allora basta rispondere semplicemente che non lo si fa. Un esempio di consiglio che non è coerente con la nostra conoscenza del Dharma si ha nel caso che il nostro Maestro ci consigliasse di uccidere qualcuno o di rubare qualcosa. In una simile circostanza possiamo rifiutarci di seguire il suo suggerimento. Ghesce-là dice: “Presumo che sia corretto dire: ‘Io non lo faccio’”. Nel caso che accada ciò, non si dovrà sperimentare alcun tipo di risultato negativo perché è stato il Lama a dire qualcosa di scorretto. Se invece il consiglio è perfettamente valido e in accordo alla nostra conoscenza del Dharma, ma va al di là delle nostre possibilità, allora ci scusiamo per non avere la capacità di portare a termine il suo consiglio. Se per esempio il Guru vi dice: “Da domani entrate in ritiro per tre anni, tre mesi e tre giorni”, ciò è corretto, ma potrebbe essere difficile accettare il fatto di entrare da un giorno all’altro in quel tipo di ritiro. Magari è possibile avere il desiderio di farlo ma non essere ancora pronti perché dobbiamo finire di sbrigare delle faccende. Allora si risponde: “Sono d’accordo ma devo prima fare alcune cose, devo prepararmi, fare delle pratiche preliminari. Quando sarò pronto allora entrerò in ritiro”. Ci si scusa con rispetto rispondendo: “Io non sono in grado di entrare in ritiro domani. Mi dispiace molto”.

Il punto importante è trovare un equilibrio, una base comune tra quello che è il rispetto e l’educazione e quelle che sono le nostre incapacità che ci costringono a non poter seguire un consiglio, cosa che dobbiamo fare nell’ambito del rispetto e della devozione.

In sostanza il testo vuole dire che se non siamo capaci di obbedire a un consiglio coerente con la nostra comprensione del Dharma possiamo rifiutarci, ma stando attenti a mantenere fede e rispetto per il Maestro. Ci possiamo comportare analogamente nel caso che, per il nostro livello di conoscenza, il consiglio ci appaia al di fuori del Dharma. E anche in questo caso dobbiamo rifiutarci con le dovute maniere.

Nel canestro del Vinaya c’è una frase che dice: “È permesso rifiutare ciò che non è Dharma”, ossia: quando in un certo contesto il consiglio esula da ciò che è Dharma, è permesso rigettarlo.

L’importante è continuare a essere devoti e a mantenere rispetto attraverso il corpo, la parola e la mente anche se non siamo in grado di eseguire ciò che ci è impossibile fare.

 

Il venticinquesimo verso dice: “È dal Guru che provengono le realizzazioni più elevate, le rinascite superiori e le gioie più alte. Perciò sforzatevi con tutto il cuore per non trasgredire mai i suoi consigli”.

In generale, è importante seguire i consigli del proprio Guru ed essere coerenti con ciò che ci dice di fare perché così otterremo i risultati più elevati, raggiungeremo le rinascite superiori e le gioie più alte, come ad esempio la liberazione e l’illuminazione. Questi sono tutti risultati che derivano dal fare ciò che il nostro Maestro ci illustra come sentiero, perciò è importante, nei limiti delle nostre capacità, compiacere il Guru ricordando e mettendo in pratica i suoi consigli.

Non c’è molto da spiegare su questo punto: basta che leggiate il testo per capire di cosa si tratta.

Nel Vinaya è detto che la relazione Guru-discepolo deve assomigliare alla relazione di reciproco rispetto che ci dovrebbe essere tra padre e figlio: dovremmo riconoscere il Maestro come un padre ed egli dovrebbe riconoscerci come un figlio, instaurando così  una relazione di mutuo affetto e considerazione. Ci dovrebbe essere questo tipo di relazione.

Ciò implica che, dal momento che la relazione deve essere di mutuo rispetto, anche il Guru deve seguire i consigli dello studente.

Se il discepolo si ammala, è il Guru a doversi prendere cura di lui, a preparargli da mangiare e aiutarlo affinché possa guarire, assistendolo in vari modi. Questo è ciò che il Maestro Ghesce Yesce Tobden fece molte volte. Anni fa egli aveva un attendente di nome Nawang che si ammalò di tubercolosi e che egli curò e assistette fino al punto di ammalarsi egli stesso di tubercolosi. Così, entrambi andarono all’ospedale e quando ne uscirono Ghesce Tobden si recò a meditare sulle montagne mentre Nawang lasciò l’ordinazione e venne a tradurre in Italia. Questo è successo tanto tempo fa, adesso Nawang è un famoso flautista che vive negli Stati Uniti.

Vi ho detto ciò per farvi capire come deve comportarsi un Maestro in accordo al Vinaya e Ghesce Yesce Tobden è stato un modello di comportamento corretto.

 

Il ventiseiesimo verso dice: “Prendetevi cura delle cose che appartengono al Guru come della vostra stessa vita. Trattate anche la sua amata (famiglia) con lo stesso rispetto che testimoniate a lui. (Abbiate lo stesso affettuoso riguardo per) coloro che gli sono vicini, come se fossero i vostri più cari parenti. Sinceramente pensate così in ogni momento”.

In sostanza qui si vuol dire che, così come dobbiamo rispettare il nostro Guru, dobbiamo estendere la nostra attenzione anche verso tutto ciò che lo circonda, come i suoi possedimenti, la sua famiglia e tutti coloro che gli sono vicini. Dobbiamo dargli la nostra più profonda attenzione. Sostanzialmente, dovremmo avere una grande considerazione per la persona del Maestro e per tutto ciò che lo circonda.

 

Nel ventisettesimo verso si specifica meglio cosa dobbiamo fare: “Non sedetevi mai sullo (stesso) letto o seggio (del vostro Guru) né camminategli davanti. (Durante gli insegnamenti non) acconciatevi i capelli in crocchia (né indossate cappelli, scarpe o armi). Non sedetevi (mai prima di lui o se gli capita di sedersi per terra. Non) posate le mani sui fianchi con atteggiamento orgoglioso e non torcetele (dinanzi a lui)”.

Essenzialmente, in presenza del Guru dovremmo comportarci in modo consapevole ed evitare il minimo atteggiamento di mancanza di rispetto. Per esempio, un modo di mostrare rispetto è il seguente: è detto che quando il Guru sta camminando insieme a voi non dovreste stargli davanti, a meno che non siate in luoghi pericolosi, nel cui caso è bene che lo precediate per anticipare eventuali pericoli.

Un altro atteggiamento poco rispettoso nei confronti del Guru è quello di pettinarsi, indossare un cappello o presentarsi con una vistosa acconciatura. In sua presenza non è opportuno avere alcun tipo di arma od oggetto contundente e quando ci si siede lo si fa dopo di lui. Non è appropriato sedersi prima né stare in piedi davanti a lui con le mani sui fianchi.

 

Il ventottesimo verso dice: “Non sedetevi e non abbassatevi quando il vostro Guru è in piedi (né sdraiatevi quando è seduto). Siate sempre pronti ad alzarvi e a servirlo in modo abile ed eccellente”.

La prima riga del verso spiega che se il Maestro è in piedi non è appropriato rimanere coricati o seduti. In caso di necessità, si deve essere pronti ad agire con rispetto nei suoi confronti e comunque tutto quello che si fa deve essere eseguito nel modo più accurato e perfetto possibile. Se ad esempio vediamo il nostro Maestro impegnato in qualche attività dobbiamo immediatamente mostrarci disponibili ad aiutarlo.

 

Il ventinovesimo verso dice: “In presenza del Guru non fate mai cose come sputare (tossire o starnutire senza coprirvi la testa). Non stendete (mai) le gambe quando siete seduti, non camminate avanti e indietro (senza ragione davanti a lui e non fategli mai delle) obiezioni”.

Qui si consiglia di avere una grande attenzione nei riguardi del proprio Guru e quindi coprirsi ad esempio il volto nel caso si debba tossire o starnutire, cosa che magari avrete visto fare dai monaci o nei monasteri in segno di rispetto.

Non stendete mai le gambe quando siete seduti. In generale allungare le gambe equivale un po’ al distendersi cosa che in presenza del proprio Maestro non è un segno di rispetto, a meno che a farlo non siano persone malate o che hanno particolari problemi legati alla postura e quindi non riescono a stare sedute in modo corretto. In tal caso queste persone hanno diritto a sedersi nel modo a loro più consono.

Non camminare avanti e indietro significa che è sconsigliabile fare azioni senza senso e in modo agitato.

Per quanto riguarda il non fare obiezioni non ci si riferisce alle osservazioni sui contenuti del Dharma con propositi costruttivi, che lo stesso Guru consiglia di fare, ma ci si riferisce piuttosto alle obiezioni più distruttive che educative. Obiezioni, argomentazioni, dibattiti, dubbi, domande sui contenuti dell’insegnamento, sul Dharma, sono ovviamente permessi e benvenuti perché si basano sulla corretta motivazione di incrementare la propria saggezza e di allontanare le visioni errate.

 

            Il trentesimo verso dice: “Non strofinatevi e neppure massaggiatevi le membra. Non cantate, danzate o suonate strumenti musicali (con scopi diversi da quelli religiosi). E non  chiacchierate inutilmente o parlate troppo (o a voce troppo alta) quando (il Guru) può udirvi”.

Con ‘scopi diversi da quelli religiosi’, si intendono gli scopi che esulano da quelli rituali in cui, ad esempio durante le cerimonie come lo tsog eccetera, si fa uso di particolari strumenti musicali. In generale, le persone ordinate possono suonare gli strumenti e danzare solo in simili circostanze, mentre è loro vietato farlo in altre, e questo è un comportamento che prescinde dalla devozione al Guru. In questo contesto il verso esprime un ulteriore significato cioè quello di non compiere azioni inutili davanti al proprio Maestro.

Per quanto riguarda il chiacchierare futilmente o parlare troppo a voce alta, ci si riferisce al fatto di parlare al Maestro di argomenti diversi dal Dharma, come ad esempio parlare di fatti che possono generare attaccamento oppure odio, raccontare storie o altro che non sono soggetti adatti a un colloquio con il Guru. Gli argomenti di discussione in un colloquio con il Maestro dovrebbero essere relativi agli insegnamenti dei sutra e dei tantra, ad aspetti poco chiari e, in sostanza, tutto ciò che è in relazione al Dharma scritturale o alla propria esperienza è un contenuto appropriato per un colloquio con il Maestro.

 

Il trentunesimo verso dice: “(Quando il Guru entra nella stanza) alzatevi dal vostro posto e fategli un leggero inchino con il capo. In sua presenza sedete con rispetto. Di notte, o su un fiume o su sentieri pericolosi potete (col suo permesso) camminare davanti a lui”.

Questo è un aspetto che ho spiegato in precedenza. Inoltre, qui si parla di un rispettoso alzarci e sederci quando il Guru entra nel luogo in cui siamo. Vi sono alcune condizioni che necessitano l’intervento del discepolo il quale, ottenuto il permesso, può camminare davanti al Maestro per proteggerlo da eventuali pericoli: ciò può avvenire di notte, oppure se si cammina sul bordo di un fiume, di un sentiero pericoloso, eccetera.

Tutto ciò è molto semplice da comprendere e non necessita di molti commenti.

 

Il trentaduesimo verso dice: “In presenza del Guru (un discepolo) assennato non dovrà sedere in modo scomposto né appoggiarsi (casualmente) contro pilastri o altri appoggi. Non scrocchiate le nocche, (non giocherellate con le dita né pulitevi le unghie)”.

Che cosa si intende con ‘non stare scomposti e non servirsi di appoggi’? Significa che non ci si dovrebbe contorcere come se si facessero degli esercizi fisici ma si dovrebbe mantenere sempre un certo contegno. E, inoltre, in presenza del Guru è sconveniente appoggiarsi in modo scomposto a colonne o muri, o addirittura dormire appoggiati a un qualche tipo di sostegno ed è sconsigliato  scrocchiare le dita, anche se alcuni amano fare ciò. Potete scrocchiare le dita ma non in sua presenza.

 

Il trentatreesimo verso dice: “Quando lavate i piedi o il corpo (del vostro Guru), lo asciugate, lo massaggiate o lo (radete), fate precedere tali azioni da (tre) prostrazioni e fate lo stesso dopo aver terminato. Solo allora potete prendervi cura (di voi stessi) come meglio credete”.

Quando il discepolo serve il proprio Maestro con azioni come lavargli i piedi, asciugarlo, massaggiargli le gambe, radergli il capo eccetera in segno di rispetto dovrebbe precedere e concludere tali attività con tre prostrazioni. Questo è il modo di mostrare devozione attraverso le attività fisiche.

 

Il verso trentaquattresimo dice: “Se dovete rivolgervi (al vostro Guru) per nome, aggiungete sempre alla fine il titolo ‘Vostra presenza’. Allo scopo di indurre negli altri rispetto per il Guru potete usare anche ulteriori titoli onorifici”.

In sostanza, non si dovrebbe nominare il Guru per nome, ma bisognerebbe rivolgersi a lui con un termine rispettoso e accompagnare il suo nome con un appellativo che generi riguardo e devozione e che in tibetano potrebbe essere Ghen-la o Ghesce-la.

In italiano, quando chiamate o nominate qualcuno con particolare riguardo non usate solamente il  termine ‘Andrea’ ma aggiungete un titolo, come per esempio ‘Signor Andrea’. Questi attributi possono variare: si può usare il termine Venerabile o Jetsun, che in tibetano significa santo, nobile e comunque possiamo ricorrere alla terminologia che riteniamo di maggior rispetto.

Sarebbe meglio usare verso il proprio Maestro appellativi onorifici e comunque non si dovrebbe ricorrere a nomignoli o soprannomi. I nomignoli li potete usare per voi, ma non in relazione al vostro Maestro.

 

Il verso trentacinquesimo dice: “Se dovete chiedere un consiglio al Guru, (prima di tutto dichiarate il motivo della vostra visita). Con le mani giunte al cuore ascoltate ciò che vi dice senza (lasciar) vagabondare (la mente). Poi, (quando  ha finito di parlare) dovreste rispondere: ‘Farò esattamente ciò che mi hai detto’”.

Allo scopo di diminuire il proprio orgoglio bisognerebbe porsi in una situazione di rispetto, di devozione verso il Maestro e mostrarsi aperti a ricevere i consigli e gli ordini che egli ci dà. Un un modo di esprimere a parole la propria disponibilità potrebbe essere: “Mi dica qual è il prossimo compito che potrei fare” e quindi aspettare le sue indicazioni.

Quando il Lama ci illustra i suoi consigli non dovremmo lasciar divagare la mente ma mantenerla attenta e concentrata e questo atteggiamento dovrebbe riflettersi anche nel nostro comportamento fisico, ad esempio unendo le mani e ascoltando attentamente quanto ci viene detto.

 

Il trentaseiesimo verso dice: “Dopo aver fatto (ciò che il Guru vi ha detto), riferitegli (quello che è accaduto) in termini gentili ed educati. Se dovete sbadigliare o tossire (schiarirvi la gola o ridere in sua presenza) copritevi la bocca con la mano”.

In sostanza, una volta che, in base alle nostre capacità, abbiamo seguito quello che il Guru ci ha consigliato di fare, dovremmo parlargli della nostra esperienza e spiegargli cosa è successo usando parole gentili ed educate. Inoltre, quando egli ci parla non è opportuno ridergli in faccia o sbadigliare per cui se dovete ridere trattenetevi e se dovete sbadigliare mettetevi la mano davanti alla bocca. Questi sono tutti aspetti o errori da evitare se si vuole avere un comportamento corretto.

 

Il verso trentasettesimo dice: “Se desiderate ricevere un determinato insegnamento, fatene richiesta per tre volte a mani giunte e inginocchiandovi a terra sul ginocchio destro. Poi, quando vi parla, sedetevi umilmente e con rispetto, indossando le vesti appropriate, che devono essere ordinate (e pulite, senza ornamenti, gioielli e cosmetici)”.

Significa che anche in questa occasione si dovrebbe mostrare rispetto, quindi, quando si  richiede un determinato insegnamento, si deve farlo in modo decoroso e i vari punti elencati nel verso si riferiscono a ciò. Sia quando si richiede un insegnamento sia quando lo si riceve dovremmo indossare un vestito appropriato e in simili occasioni è importante avere un comportamento corretto e virtuoso. In particolare, qui si parla del momento in cui si richiede un determinato insegnamento. Gli insegnamenti vengono normalmente dati sulla base di una specifica richiesta, altrimenti il Lama non ha motivi per farlo poiché in genere non dà insegnamenti di sua iniziativa. Quindi, al momento della richiesta si deve avere il tipo di atteggiamento esposto nel verso.

 

Il verso trentottesimo dice: “Qualunque cosa facciate per servire (il Guru) o per dimostrargli il vostro rispetto, non dovrebbe essere eseguita con mente arrogante. Al contrario, dovreste essere come una giovane sposa, timida, umile e sottomessa”.

Quello che si intende in questo caso è di non avere un atteggiamento arrogante nei confronti del Maestro, ma anzi occorre avere una mente umile e servizievole, una mente e un comportamento che è coerente con tale attitudine. Si deve avere un atteggiamento che dimostri il controllo della mente sui sensi, ossia, in presenza del Maestro, la mente e il corpo devono essere controllati ed è soprattutto necessario che i nostri comportamenti di corpo, parola e mente non scadano nella non virtù.

L’esempio della giovane sposa serve a mostrare come dovrebbe essere la nostra mente nei confronti del Maestro, cioè non dovremmo avere una mente arrogante ma attenta, controllata, rispettosa, una mente che sia  umile e servizievole.

 

Il verso trentanovesimo dice: “In presenza (del Guru) che vi insegna (il sentiero), smettete di agire in modo vanitoso e frivolo. Se vi capita di vantarvi con altri di ciò che avete fatto (per il vostro Guru), esaminate (la vostra coscienza) e abbandonate questo modo di agire”.

Essenzialmente, davanti al Guru dovremmo avere un comportamento controllato e i nostri sensi e facoltà dovrebbero essere soggiogati. In sua presenza non dovremmo manifestare arroganza e vanità, ma cercare di trattenerci dal professare le nostre azioni positive e mantenere un comportamento umile. In altre parole potremmo dire: ‘Non guardare gli errori degli altri, guarda i tuoi’ perché non c’è nessun vantaggio nel fare altrimenti.

Avendo come obiettivo quello di eliminare i propri difetti è meglio essere attenti ai propri errori piuttosto che essere attenti agli errori altrui.

 

Il verso quarantesimo dice: “Se vi viene chiesto di compiere una consacrazione, (l’iniziazione in) un mandala, una cerimonia di offerta del fuoco o di riunire i discepoli e far loro un discorso, non dovreste fare ciò se il vostro Maestro risiede nella stessa zona, a meno che prima non riceviate il suo permesso”.

Questo significa che se il Guru, in quel momento, si trova nello stesso luogo o zona in cui ci troviamo noi e ci venisse richiesto di dare un insegnamento o di compiere attività come conferire un’iniziazione o eseguire una puja del fuoco dovremmo prima chiedere a lui l’autorizzazione. Quando si parla di ‘consacrazione’ (rab.ne) ci si riferisce a tutte quelle attività che implicano una invocazione di esseri di saggezza e il loro assorbimento in un supporto che può essere una immagine, un luogo, eccetera.

Per iniziazione in un mandala ci si riferisce agli eventi in cui delle persone sono introdotte in un mandala – la dimora di una divinità – e in cui gli vengono conferiti i semi dei quattro corpi. Questo è un evento che viene definito ‘iniziazione in un mandala’.

La puja del fuoco, che abbiamo già spiegato in precedenza, è quel rituale che viene eseguito con una base su cui si accende un fuoco e può essere di quattro tipi: di pacificazione, di incremento, di potere e di ira.

Se si vuole fare un discorso o dare degli insegnamenti quando il proprio Guru è nelle vicinanze, allora gli si deve prima chiedere il permesso.

In relazione a ciò, poiché non è opportuno né dare insegnamenti né che altre persone si prostrino a noi quando nelle vicinanze c’è il nostro Maestro o il nostro Abate, vi è un rituale che i monaci eseguono ogni 15 giorni, chiamato ‘la confessione individuale’ (sojong), durante il quale si radunano sia i monaci novizi sia i monaci completamente ordinati (bhikku) e in cui i novizi devono eseguire un rituale di confessione nei confronti dei monaci completamente ordinati. Prima della confessione il monaco novizio si alza e fa tre prostrazioni al monaco completamente ordinato che, successivamente, si prostra e si confessa all’Abate, sostegno principale del cerimoniale. Questa funzione viene svolta in tal modo proprio perché non è opportuno né dare insegnamenti né che altre persone si prostrino a noi quando nelle vicinanze c’è il nostro Maestro o il nostro Abate.

 

Il verso quarantunesimo dice: “Dovreste donare al vostro Guru qualsiasi offerta riceviate dal compiere rituali quali (la consacrazione conosciuta come) l’Apertura degli occhi. Egli ne prenderà una parte simbolica e potrete usare il resto come meglio riterrete”.

Qui si parla di riti, come l’apertura degli occhi che è un cerimoniale simbolico in cui viene aspersa una medicina per l’apertura degli occhi. Alcuni di questi rituali sono di solito eseguiti su richiesta e in genere l’offerta viene fatta a colui che esegue il cerimoniale. In questo caso le offerte ricevute dovrebbero essere donate al proprio Guru che ne accetterà simbolicamente una parte.

Questo comportamento è un modo di rendere partecipe il Maestro di quello che avete eseguito. È quindi semplicemente un modo di far sapere al vostro Guru quanto avete ricevuto il quale, da parte sua, vi darà la sua approvazione.

 

Il verso quarantaduesimo dice: “In presenza del Guru un discepolo non dovrebbe comportarsi (come un Guru) verso i discepoli; ed essi non dovrebbero trattarlo come il loro Guru. Perciò, (se vi trovate davanti al Guru) impedite (ai vostri discepoli) di manifestarvi il loro rispetto, ad esempio alzandosi (quando entrate), o prostrandosi”.

Il significato è semplice: quando si hanno dei discepoli e si è in presenza del proprio Maestro si dovrebbe evitare che i discepoli si comportino come tali nei nostri confronti. Quindi dovremmo evitare di manifestarci come Maestri quando è presente il nostro Guru. In sostanza, in presenza del proprio Maestro non si dovrebbe porre attenzione a procedure come quelle in cui i discepoli si alzano eccetera, ma anzi dovremmo evitare le manifestazioni di devozione e informare i nostri discepoli che in quel momento non è il caso che essi ci manifestino tali attenzioni.

 

Il quarantatreesimo verso dice: “Sia che porgiate un’offerta al Guru o che egli vi dia un dono, se siete dei discepoli assennati (porgerete e) prenderete ciò che vi offre con entrambi le mani e con la testa leggermente chinata”.

Il consiglio è chiaro. Anche quando diamo o riceviamo qualcosa dal nostro Maestro ciò non deve essere fatto con leggerezza ma anzi con cura e rispetto. Qui sono illustrati i modi di manifestare questo rispetto. Dovremmo anche cercare di non interagire in modo esagerato con il nostro Maestro. Se ad esempio egli rifiuta una nostra offerta dovremmo accettare la sua decisione e non insistere. Naturalmente dipende molto dal nostro atteggiamento: se il nostro atteggiamento è di insistenza irragionevole allora è da evitare, ma se invece il fatto di insistere avviene in modo rispettoso e fa parte dell’atteggiamento formale di quel momento, allora va bene.

 

Il quarantaquattresimo verso dice: “Siate diligenti in ogni vostra azione, (vigili e) attenti a non dimenticare mai (le vostre promesse). Se i suoi discepoli vostri compagni trasgrediscono (la giusta) condotta, correggeteli in modo amichevole”.

Questo significa che è necessario avere una grande consapevolezza nei confronti del Maestro e che, se ci impegniamo, dobbiamo rispettare l’impegno preso Quando siamo nella stessa cerchia di discepoli e vediamo che un nostro compagno sta incorrendo in un errore dovremmo correggerlo in modo amichevole e, quindi, tra i discepoli dello stesso Maestro dovrebbe esserci una sorta di sostegno reciproco nell’avere un comportamento corretto.

Dovremmo considerare il nostro Maestro come il genitore e i discepoli come i fratelli poiché, di fatto, siamo fratelli e sorelle di vajra e quindi dovremmo riconoscerci reciprocamente in questo modo, avendo come padre lo stesso Maestro e comportarci coerentemente, senza un’attitudine di disarmonia, l’uno con l’altro. Se capiamo che una persona, il nostro compagno, sta incorrendo in un errore dovremmo riprenderlo in modo amichevole, facendogli notare che se continua con quel comportamento ci saranno dei  problemi.

 

Il quarantacinquesimo verso dice: “Se, a causa di una malattia, siete fisicamente (impossibilitati) a inchinarvi al vostro Guru e siete costretti a fare ciò che normalmente è proibito, anche senza il suo esplicito permesso, non sperimenterete conseguenze spiacevoli se la vostra mente sarà virtuosa”.

Questo significa che vi sono dei comportamenti che in una situazione normale sono causa di una degenerazione della nostra relazione con il Guru, mentre nel caso in cui soffriamo di una malattia quei comportamenti sono giustificati dal fatto che siamo malati. Restare seduti quando ci si dovrebbe alzare, il non sedere in modo corretto, il non prostrarci e così via, se tutte queste cose sono causate da una malattia, una debolezza fisica, allora non si incorre in conseguenze negative, ma, addirittura, dovrebbe essere il Maestro, come abbiamo detto prima, ad aiutare il discepolo: dovrebbe soccorrerlo in tutto ciò che gli è possibile per rendergli più sopportabile la situazione, dovrebbe cioè fare di tutto perché il suo discepolo possa guarire al più presto, indipendentemente dall’atteggiamento del discepolo.

 

Il quarantaseiesimo verso dice: “Non occorre dire molto altro. Fate tutto ciò che compiace il Guru ed evitate di fare cose che gli dispiacerebbero. Siate accurati in entrambe le cose”.

Ciò riassume in breve il perché dovremmo evitare tutti i comportamenti che sappiamo poter disturbare la mente del nostro Maestro e, invece, dovremmo incrementare tutte quelle attività fisiche e verbali che rendono felice la mente del Maestro.

Sostanzialmente, i comportamenti delle tre porte, corpo, parola e mente, che sono in contraddizione con l’esposizione dei tre canestri del Dharma sono anche in contraddizione con i desideri del Guru. Tutto ciò che è contrario ai tre canestri è anche contrario ai desideri del Guru. Vi è una citazione in cui si dice di aderire al Vinaya, di impegnarsi nel Sutra e integrare la realtà ultima. Queste tre affermazioni sono da intendersi come la nostra applicazione nei tre addestramenti superiori. Dovremmo avere una mente che è controllata perché è impegnata nell’addestramento superiore della moralità; dovremmo essere pacificati per il fatto di  addestrarci nella stabilizzazione meditativa; e dovremmo avere una mente che discerne per il fatto che ci stiamo applicando nell’addestramento superiore della saggezza. Le attività conformi a questi tre addestramenti superiori sono anche in sintonia a una corretta relazione con il Guru.

 

Il quarantasettesimo verso dice: “Le più alte realizzazioni provengono dal (fare ciò) che (compiace) il vostro Guru”. Tale è la parola di (Buddha) Vajradhara stesso. Sapendo ciò, cercate di soddisfare pienamente i desideri del  Guru con ogni azione (di corpo, parola e mente)”.

Le realizzazioni, il poter avanzare nel sentiero, il criterio che determina se possiamo o meno ottenere degli scopi è il fatto di compiacere o meno il nostro Maestro. Questo è ciò che ha proclamato Buddha. Sapendo che le realizzazioni provengono dal compiacere il Maestro dovremmo cercare di seguire al massimo delle nostre capacità i suoi consigli con corpo, parola e mente. In molti tantra viene spiegato che il Guru è la fonte di ogni realizzazione e comprendendo ciò dovremmo comportarci di conseguenza.

 

Il quarantottesimo verso dice: “Dopo che un discepolo ha preso rifugio nella Triplice Gemma e sviluppato un pura motivazione illuminata, egli dovrebbe ricevere (questo testo) e tenerlo molto a cuore (per abbandonare l’attitudine egoistica e arrogante e) seguire le orme del suo Guru (lungo la Via graduale del risveglio)”.

Come vedete, questa istruzione dovrebbe essere impartita a colui che è un discepolo retto, nel senso che ha preso rifugio nei Tre Gioielli e ha generato la mente dell’illuminazione, in modo che possa abbandonare i vari errori.

Qui ci si riferisce a un discepolo che abbia preso rifugio nei Tre Gioielli e abbia generato i due tipi di mente dell’illuminazione: di aspirazione e di impegno. E, sulla base di queste due menti, che sia entrato nel sentiero del tantra dopo aver ricevuto le quattro iniziazioni da un Maestro qualificato. Quel discepolo è colui che deve imparare queste istruzioni.

Perché c’è bisogno di avere tali istruzioni, anche in forma materiale, cioè tramite un testo? Perché esattamente come una persona anziana per rimanere in piedi deve sorreggersi a un bastone da passeggio, così noi che abbiamo dei problemi di deambulazione spirituale abbiamo bisogno di un sostegno e tale sostegno sono le istruzioni presenti in questo testo. Sarebbe importante ricordare costantemente queste istruzioni in modo da avere sempre presente come ci dobbiamo comportare. Le parole di questo testo ci servono da sostegno, così come il bastone aiuta il cammino dell’anziano.

 

Il verso quarantanovesimo dice: “(Studiando l’addestramento preliminare della devozione al Guru e la Via graduale, comune ai sutra e ai tantra), diverrete un recipiente (adatto) a mantenere il puro Dharma. Potrete allora ricevere gli insegnamenti del  tantra (e dopo aver avuto le iniziazioni appropriate), recitate a voce alta i quattordici voti radice e abbiatene sinceramente cura”.

Siamo al termine del testo e questo verso vuole riassumere l’argomento trattato sostenendo che il discepolo che si inoltra nel sentiero del tantra – e che ha ricevuto le quattro iniziazioni e i 14 voti radice del tantra – deve mantenere un comportamento corretto. Dopo essere entrati nel sentiero tantrico è importante mantenere i voti in modo puro ed è perciò necessario, come viene enfatizzato nel verso, memorizzare bene i 14 voti radice al fine di poterli avere sempre presenti nella nostra mente e non infrangerli. È solamente attraverso la completa conoscenza dei 14 voti che siamo sicuri di non trasgredirli ed è perciò importante conoscerli e, una volta conosciuti, fare il possibile per mantenerli puri.

Naturalmente, ci sono metodi come le auto-iniziazioni in cui questi 14 voti radice possono essere rinnovati, cioè in cui si ha la possibilità di purificare e ristabilire questi impegni nel caso che essi  vengano infranti, sia casualmente che non.

 

Il verso cinquantesimo dice: “Poiché nel comporre questo testo non ho commesso l’errore (di mescolarvi una mia interpretazione personale), possa esso essere d’infinito beneficio per tutti i discepoli che seguono il loro Guru. Per il merito illimitato che ho in questo modo accumulato, possano tutti gli esseri senzienti conseguire rapidamente lo stato di Buddha”.

A differenza del testo radice, il testo col commentario continua citando l’autore Asvagosha (che viene menzionato con il suo nome sanscrito). Asvagosha compone questo testo perché possa essere di aiuto per tutti coloro che si sono incamminati verso lo stato di buddha seguendo correttamente il proprio Guru.

 

Ho ricevuto il commentario esteso di questo testo da Kiabje Triciang Rinpoce ma non ho potuto darvi tutto il testo perché ci sarebbe voluto molto più tempo. Ho ricevuto anche un commentario breve e i versi radice da Kiabje Song Rinpoce quando venne in Italia all’Istituto Lama Tzong Khapa, molti anni fa. A quell’epoca il traduttore era Luca Corona che non conosceva ancora bene il tibetano. Kiabje Song Rinpoce nominò una sostanza che potenzia i mantra, che è un particolare legno indiano di cui sono composti dei semi granulosi con cui vengono fatte anche le male, e Luca invece di capire ‘rudaksa’, capì ‘ra-sha’ che  vuol dire ‘carne di capra’.

La storia è relativa a un tempo in cui in Tibet una persona chiese a un Lama un insegnamento in forma di mantra. Quell’uomo aveva un viso cosparso di brufoli e il Lama, che aveva fretta, gli disse osservandolo: “Il tuo naso e il tuo viso sono come il seme rudaksa”. Si trattava semplicemente di un apprezzamento, ma quell’uomo lo comprese come fosse un mantra e cominciò a recitarlo.

Accadde che per il potere della fede quest’uomo acquisì dei poteri e cominciò a guarire le persone e divenne famoso per le sue capacità di guarigione. Un giorno il Lama che gli aveva detto: “Il tuo naso e il tuo viso sono come il seme rudaksa” si ammalò alla trachea,  e nessun medico, per quanto famoso, riusciva a  guarirlo. Uno dei suoi discepoli gli consigliò di andare da quel tale tantrika che guariva le persone. Il Lama  lo fece chiamare al suo cospetto e quando lo vide lo riconobbe e comprese che aveva acquisito potere attraverso quella stoltezza. Il tantrika si mise al lavoro recitando il suo ‘mantra’ tanto che il Lama scoppiò a ridere come un pazzo e con quella risata riuscì in qualche modo a guarire dalla malattia che aveva in gola.

Questa è una storia vera che Song Rinpoce raccontò per spiegare l’importanza della fede, per cui se si ha fede e la dovuta concentrazione si possono ottenere le realizzazioni anche senza un mantra corretto.

 Ora darò la trasmissione orale delle 50 stanze con la preghiera e la speranza che possiate leggere, studiare e ricevere ulteriori commentari per ampliare le vostre conoscenze.

 

 

Questo conclude la trasmissione orale delle 50 stanze di devozione al Guru. Il significato vi sarà sempre più chiaro man mano che contemplerete e leggerete per conto vostro il testo.

Ringraziamo i centri FPMT per fornire questo prezioso materiale e tutti i volontari che con il loro lavoro seguono le trascrizioni, le revisioni e la pubblicazione degli insegnamenti sul nostro sito, senza i quali tutto questo non sarebbe possibile.

Se vuoi diventare uno di loro, invia una mail a info@nalandaedizioni.it.

Per approfondire

Ciampa Ghiatso

Insegnamento dato dal Ven. Ghesce Ciampa Ghiatso presso il Centro Ewam di Firenze
il 26-27 novembre 1999
Parte 2 di 2

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