Duemilacinquecento anni fa, Buddha Shakyamuni insegnò la verità del sorgere-dipendente e l’intera visione che non esistiamo “lì fuori” in modo indipendente. Il famoso esperimento “effetto osservatore” della fisica quantistica conferma questa verità. Ma il Buddha ne parlò secoli fa come menzionato del grande Mahanidana Sutra:
“Se questo esiste, quello esiste; se questo cessa di esistere anche quello cessa di esistere”
E duemilacinquecento anni dopo, il “quantum guru” Niels Bohr disse nel 1920: “Le osservazioni non solo disturbano ciò che dev’essere misurato, lo producono… Noi costringiamo una particella quantica ad assumere una posizione definita”. In altre parole, come spiegato dal fisico Pascual Jordan: “Siamo noi stessi a produrre i risultati delle nostre misurazioni”. Questa conclusione elimina la nozione di una realtà oggettiva, indipendente dall’osservatore.
Allo stesso modo, il grande Maestro Zen Thich Nhat Than scrive:
“La definizione generale o universale di Pratityasamutpada (o “sorgere-dipendente”) è che tutto sorge in dipendenza da cause e condizioni multiple; nulla esiste come un’entità unica e indipendente”.
In altri Sutra, il Buddha parlava di dualità, Shunyata(vacuità), la realtà ultima nei confronti delle realtà osservate o convenzionali e altri insegnamenti che rispecchiano le scoperte della fisica quantistica di oggi.
Il Buddha insegnò concetti migliaia anni fa che solo oggi vengono rivelati dalla fisica quantistica.
Cos’è la coscienza – il grande puzzle
Il grande puzzle del “cos’è la coscienza” fu compreso duemilacinquecento anni fa da Buddha Shakyamuni. Oggi, la fisica quantistica ha ancora difficoltà a spiegare la coscienza – in particolare “l’effetto osservatore”. Un esperimento che sovverte l’intera supposizione che ci sia un “mondo oggettivo” lì fuori, indipendente da noi.
Che cosa c’entra tutto ciò con i cinque Buddha?
A causa della natura interdipendente della realtà – e di altri concetti come Shunyata(vacuità) e nozioni come “realtà ultima “ e “realtà convenzionale” – non c’è alcuna contraddizione fra i concetti come “famiglie multiple di Buddha” nelle Terre Pure e l’onnicomprensivo concetto della vacuità. Ecco perché, per esempio, nell’Asia tante persone frequentano in modo intercambiabile chiese e templi buddhisti, shintoisti, taoisti, cristiani.
“I buddhisti non venerano il Buddha allo stesso modo in cui i cristiani venerano Dio come un essere supremo con il potere di concedere la salvezza oppure inviare all’eterna dannazione. Noi non otteniamo la Buddhità o Illuminazione mediante la grazia divina; la otteniamo perseverando nelle pratiche perché ci diano la conoscenza delle nostre menti e della natura della realtà. Nessuno può diventare un Dio ma, mettendo in pratica gli insegnamenti del Buddha, tutti noi possiamo diventare buddha. Ottenere la Buddhità è il progetto fai-da-te ultimo”.
Se non come un esercizio intellettuale, non c’è nessuna necessità per litigi fra le differenti scuole buddhiste: dal pragmatico buddhista-ateo ai buddhisti della Terra Pura che venerano solo Amitabha, fino ai buddhisti Vajrayana che praticano varie divinità.
Sul livello ultimo, tutte le scuole sono valide, tanti mezzi abili per ottenere l’unica verità. A livello convenzionale, può sembrare che ci siano differenze, eppure anche con solo una comprensione basilare della vera natura della realtà, quelle variazioni sembrano divenire preferenziali, più che conseguenziali.
Il lignaggio e la tradizione sono importanti nel Buddhismo, senza dubbio. Il lignaggio ci offre un accesso integro alla saggezza antica e ci permette di seguire le orme degli Esseri Illuminati. D’altra parte, il Buddhismo si è sempre adattato al contesto culturale in cui si è quietamente diffuso.
Divinità tibetane, divinità cinesi, divinità indù: tutte quante popolano le Terre Pure degli Esseri Illuminati. Questo sentiero di praticare è integralmente autentico. Il Buddha insegnò tanti metodi. Superare i condizionamenti culturali e ancestrali – e ultimamente il Buddhismo si basa sul superamento del condizionamento e degli attaccamenti – diventa facile se ci si adatta e rinforza, piuttosto che litigare e negare.
Ed è questo perché oggi c’è perfino il Buddhismo celtico – che mescola divinità celtiche con il Buddhismo – come pure il Buddhismo rivolto agli atei. Ciò s’inserisce nel condizionamento ancestrale e culturale dell’Europa. Ci sono buddhisti cristiani che mettono il crocefisso accanto alla statua del Buddha. E perché no?
E questa non-uniformità crea confusione oppure rafforza?
Verosimilmente, la forza del Buddhismo si trova nell’essere una filosofia che può essere mescolata con qualsiasi condizionamento spirituale, culturale o ancestrale – incluso l’ateismo.
I dibattiti riguardo l’autenticità, dopotutto, non sono così importanti – semplicemente perché il Buddha ci insegnò di non essere attaccati a nulla. Autenticità e lignaggio, almeno nella pratica avanzata, possono essere visti come attaccamento. Il Buddhismo insegna un sentiero all’illuminazione individuale. Come dice l’insegnante: “Solo tu puoi praticare”. Un insegnante non ti può procurare realizzazioni.
Sul lato pratico, sicuramente praticare un lignaggio autentico è più veloce, forse molto meglio. Non come oggetto di attaccamento ma perché si sa che funziona, ed è efficace. Comunque, se ciò ti porta al di fuori dalla tua “comfort zone” culturale, dalle tue credenze ancestrali o intuizioni spirituali, il Buddhismo è sempre aperto ad accogliere “tutto” e non solo “alcuni”.
La venerazione di molteplici Buddha
Ora torniamo sui cinque conquistatori (probabilmente pensavi che non sarei mai ritornato sui cinque Tathagata!). Tanti buddhisti devoti praticano e venerano molteplici Buddha. In misura maggiore o minore, I buddhisti Mahayana onorano e venerano molteplici Buddha – anche se il focus principale è un Buddha. Nei Sutra Mahayana, lo storico Buddha Shakyamuni non solo rivelò i Buddha precedenti ma vaste Terre Pure piene di Buddha. Mentre tanti buddhisti lo considerano un “mezzo abile” per convogliare un importante messaggio, altri buddhisti assumono la visione opposta – ossia che i Buddha non sono archetipici, bensì forze viventi del nostro universo.
Comprendendo la vera natura della realtà, come insegnato dal Buddha – unitarietà e sorgere-dipendente – possiamo capire che i Cinque Buddha possono manifestarsi nella nostra realtà convenzionale.
Poiché noi stessi siamo i percettori, questo aspetto del nostro sé – in quanto parte dell’unitarietà – che rispecchia tale energia può manifestarsi come Amithaba, Vairocana o qualsiasi altro Buddha o Bodhisattva. Anche se questa manifestazione esiste solo nella nostra mente, essa è sempre “un’osservazione”. Come insegnato nel Buddhismo Vajrayana, “Non siamo separati dal Buddha e il Buddha non è separato da noi”.
Su livelli di comprensione avanzati non c’è alcuna differenza: la realtà ultima e convenzionale posseggono la stessa natura. Possiamo vedere i Buddha come entità da venerare oppure come aspetto “del” Buddha oppure come energia archetipica, oppure come metodo, o solo come amabile immagine… in sostanza sono tutti mezzi abili che conducono alla stessa meta.
In particolare, le Famiglie dei Cinque Buddha puntano sulle realizzazioni ottenibili mediante l’abbandono dei cinque stati mentali che offuscano la mente e che ci intrappolano nel samsara: “Per ottenere le realizzazioni di queste cinque famiglie di Buddha o dei cinque Dhyana Buddha, è necessario l’abbandono dei cinque stati che offuscano la mente: attaccamento, avversione o rabbia, ignoranza o smarrimento, orgoglio e invidia. Quando purifichiamo ed eliminiamo questi cinque stati che offuscano la mente, ecco che cominciano a brillare le cinque saggezze. La realizzazione delle cinque saggezze è la realizzazione dei Cinque Dhyani Buddha.
La rabbia è un dei cinque veleni: Ognuno dei Cinque Buddha si concentra su uno di questi veleni – nel caso della rabbia, Akshobya. Nel Buddhismo tibetano ci sono anche emanazioni tantriche più elevate di questi Buddha, le divinità irate che ci aiutano a superare la rabbia e gli altri veleni.
Comprendendo i Buddha
Ogni Buddha “andato oltre” non può essere limitato da concetti come corpo, colore, attributi, direzioni o manifestazioni fisiche. Allo stesso tempo, Buddha Shakyamuni, come insegnato nei Sutra Mahayana, parlava dei Buddha della Medicina, di Buddha Amitabha e di altri conquistatori.
Questi Buddha possono essere compresi come manifestazioni dell’uno ed ultimo Buddha (unitarietà, vacuità), o come Buddha individuali che si manifestano per aiutare gli esseri che necessitano di concetti come corpo, parola e mente per poter progredire.
“La natura essenziale di un Bodhisattva o Buddha è che esso o essa abbraccia le qualità illuminate delle Cinque Famiglie di Buddha che pervadono ogni singolo essere vivente senza eccezione comprendendo noi stessi,” scrisse Ghesce Lharampa Tranghu Rinpoce.
Perché Cinque Buddha?
Indipendentemente dal vedere i Cinque Buddha e loro famiglie – compresi le madri, pacifici Bodhisattva e le divinità irate – come venerabili o tangibili Buddha oppure come emanazioni oppure come archetipi concettuali, in ogni caso entriamo in contatto con le loro particolari energie e sentieri.
Amitabha, il Buddha dell’ovest, è “il padre” della Famiglia del Loto, un’energia compassionevole. Ma cosa ci insegna Amitabha oltre alla compassione? Ci insegna come superare il veleno del desiderio.
“I Cinque Buddha rappresentano la trasmutazione dei cinque afflizioni o veleni (ignoranza, attaccamento, aversione, gelosia e orgoglio) nelle cinque saggezze trascendentali (omnipervasiva, discriminante, come-uno-specchio, del-realizzare-tutto e imparziale).”
Il Ghesce Lharampa Trangu Rinpoce spiega:
“Per poter realizzare queste Cinque Famiglie di Buddha o Cinque Dhyana Buddha, è necessario abbandonare le cinque afflizioni mentali del grande attaccamento, rabbia o aggressione, ignoranza o confusione, orgoglio e invidia. Quando queste afflizioni mentali sono purificate ed eliminate, le Cinque Saggezze risplendono. La realizzazione di queste Cinque Saggezze equivale alla realizzazione dei Cinque Dhyana Buddha. Per cominciare, dobbiamo comprendere cosa sono i cinque stati mentali di afflizione (skt. kleshas). Il primo, che sembra essere il più potente, è la rabbia. La rabbia è uno stato mentale di afflizione che sorge e si sviluppa nei confronti di qualcuno o qualcosa che non ci piace. Se esaminata da vicino, nell’immediato la rabbia genera sofferenza e a lungo termine ci danneggia seriamente. La sofferenza immediata e il danneggiamento a lungo termine, sia verso sé stessi, sia verso gli altri, deriva dalla forza della propria aggressività.”
Non solo la rabbia, ma tutti i veleni mentali devono essere eliminati.
Praticando i Cinque Buddha – o qualsiasi membro della relativa famiglia (Avalokiteshvara, per esempio, il figlio spirituale di Amitabha) – ci permette di applicare i mezzi abili per superare ogni singolo klesha:
- Akshobya – il Buddha “inamovibile e immutabile” – ci aiuta a eliminare il veleno della rabbia;
- Ratnasambhava purifica l’orgoglio;
- Amitabha purifica il desiderio e l’attaccamento – il che è un avanzamento fondamentale della pratica buddhista;
- Amogasiddhi purifica la gelosia;
- Vairōchana purifica l’ignoranza.
Lee Kane
L’autore è editore di Buddha Weekly dal 2007. I suoi articoli si focalizzano principalmente su tecniche di meditazione mindfulness e commentari ai sutra. Contribuisce anche ad altre riviste online e blog.