Spesso le persone mi chiedono: “Cos’è il Buddhismo in poche parole?”. Oppure mi chiedono: “Qual è la particolare visione o filosofia del Buddhismo?”.
Purtroppo in Occidente il Buddhismo sembra essere finito nel reparto religioso, persino in quello dell’auto-aiuto o della crescita personale e, chiaramente, è nel reparto della meditazione di tendenza. Vorrei mettere in discussione la definizione popolare di meditazione buddhista.
Molte persone pensano che la meditazione abbia a che fare con il rilassamento, con il guardare un tramonto o le onde del mare che si infrangono sulla spiaggia. Vengono in mente frasi affascinanti come “lasciarsi andare” e “essere spensierati”. Dal punto di vista buddhista, la meditazione è qualcosa di più.
Innanzitutto, credo sia necessario parlare del contesto reale della meditazione buddhista. Si parla di visione, meditazione e azione che, prese insieme, costituiscono un modo molto abile di comprendere il sentiero. Anche se non usiamo queste espressioni nella vita di tutti i giorni, se ci pensiamo bene, agiamo sempre in base a una certa visione, meditazione e azione. Ad esempio, se vogliamo comprare un’auto, scegliamo quella che riteniamo migliore, più affidabile e così via. Quindi la “visione”, in questo caso, è l’idea o la convinzione che abbiamo, cioè che l’auto sia buona. La “meditazione” consiste nel contemplare e familiarizzarci con quell’idea, mentre l'”azione” consiste nell’acquistare l’auto, guidarla e utilizzarla. Questo processo non è necessariamente buddhista: è qualcosa che facciamo continuamente. Non è necessario chiamarlo visione, meditazione e azione. Puoi considerarlo come “idea”, “familiarizzarsi” e “ottenere”.
Qual è dunque la visione particolare con cui i buddhisti cercano di familiarizzarsi? Il Buddhismo si distingue per quattro caratteristiche, o “sigilli”. In realtà, se tutti questi quattro sigilli si trovano in un sentiero o in una filosofia, non importa se la chiamate buddhista o meno. Potete chiamarli come volete; le parole “buddhista” o “Buddhismo” non sono importanti. Il punto è che se un sentiero contiene questi quattro sigilli, può essere considerato il sentiero del Buddha.
Pertanto, queste quattro caratteristiche sono chiamate “i quattro sigilli del Dharma”. Essi sono:
Tutte le cose composte sono impermanenti.
Tutte le emozioni sono dolorose. Questo è un argomento di cui parlano solo i buddhisti. Molte religioni venerano cose come l’amore con celebrazioni e canti. I buddhisti pensano: “Questa è tutta la sofferenza”.
Tutti i fenomeni sono vuoti; sono privi di esistenza intrinseca. Questa è in realtà la visione ultima del Buddhismo; le altre tre si basano su questo terzo sigillo.
Il nirvana è al di là degli estremi.
Senza questi quattro sigilli, il sentiero buddhista diventerebbe un dogma religioso e teistico e il suo scopo andrebbe perso, ma se un surfista vi insegna come sederti su una spiaggia a guardare un tramonto e ciò che dice contiene tutti e quattro i sigilli, allora si tratta di Buddhismo. Ai tibetani, ai cinesi o ai giapponesi potrebbe non piacere, ma l’insegnamento non deve necessariamente avere una forma “tradizionale”. I quattro sigilli sono piuttosto interconnessi, come vedremo.
Il primo sigillo: tutte le cose composte sono impermanenti
Ogni fenomeno a cui possiamo pensare è composto e quindi soggetto all’impermanenza. Alcuni aspetti dell’impermanenza, come il tempo o le stagioni che cambiano, possiamo accettarli facilmente, ma ci sono cose altrettanto ovvie che non accettiamo.
Ad esempio, il nostro corpo è visibilmente impermanente e invecchia ogni giorno, eppure è qualcosa che non vogliamo accettare. Le riviste che si occupano di moda e bellezza sfruttano questo nostra inclinazione. In termini di visione, meditazione e azione, i loro lettori potrebbero avere una visione: pensare di non invecchiare o di sfuggire in qualche modo al processo di invecchiamento; contemplano questa visione di permanenza e la loro azione conseguente è quella di iscriversi in un centro fitness e di sottoporsi a interventi di chirurgia plastica e ad altri tipi di disagi.
Gli esseri illuminati pensano che tutto ciò sia ridicolo e si basi su una visione sbagliata. Per quanto riguarda questi diversi aspetti dell’impermanenza – l’invecchiare e il morire, il cambiamento del tempo e così via – i buddhisti hanno un’unica affermazione, ovvero il primo sigillo: i fenomeni sono impermanenti perché sono composti. Tutto ciò che viene assemblato, prima o poi si disfa.
Quando diciamo “composto”, includiamo le dimensioni dello spazio e del tempo. Il tempo è composto e quindi impermanente: senza il passato e il futuro, non esiste il presente. Se il momento presente fosse permanente, non esisterebbe il futuro, perché il presente sarebbe sempre lì. Ogni azione che compiamo – ad esempio piantare un fiore o cantare una canzone – ha un inizio, una parte centrale e una fine. Se nel canto di una canzone mancassero l’inizio, la parte centrale o la fine, non esisterebbe il canto di una canzone, no? Ciò significa che cantare una canzone è qualcosa di composto.
“E allora?”, ci chiediamo. “Perché dovremmo preoccuparci di questo? Qual è il problema? Ha un inizio, una parte centrale e una fine, e allora?”. Non è che i buddhisti siano davvero preoccupati per l’inizio, la parte centrale o la fine; non è questo il problema. Il problema è che quando c’è composizione e impermanenza, come nel caso delle cose temporali e materiali, c’è incertezza e dolore.
L’impermanenza non rappresenta di per sé una cattiva notizia, dipende dal modo in cui la si intende.
Alcuni pensano che i buddhisti siano pessimisti e che parlino sempre di morte, impermanenza e invecchiamento. Ma questo non è necessariamente vero. L’impermanenza è un sollievo! Oggi non ho una BMW ed è grazie all’impermanenza che potrei averne una domani. Senza l’impermanenza, sono bloccato dal non possesso di una BMW e non potrò mai averne una. Potrei sentirmi gravemente depresso oggi e, grazie all’impermanenza, potrei sentirmi benissimo domani. L’impermanenza non è per forza una cattiva notizia; dipende da come la intendiamo. Anche se oggi la vostra BMW viene graffiata da un vandalo o il vostro migliore amico vi delude, se avete la visione dell’impermanenza non sarete poi così preoccupati.
L’illusione nasce quando non riconosciamo che tutte le cose composte sono impermanenti; quando realizziamo questa verità, nel profondo e non solo a livello intellettuale, questo è ciò che chiamiamo liberazione: la liberazione da questa convinzione ostinata e ristretta di permanenza. Tutto, che ti piaccia o no – anche il sentiero, il prezioso sentiero buddhista – è composto. Ha un inizio, una parte centrale e una fine.
Quando capite che “tutte le cose composte sono impermanenti”, siete pronti ad accettare l’esperienza della perdita. Poiché tutto è impermanente, c’è da aspettarselo.
Il secondo sigillo: tutte le emozioni sono dolorose
La parola tibetana che indica le emozioni in questo contesto è zagche, che significa “contaminato” o “macchiato”, nel senso di permeato da confusione o dualità.
Alcune emozioni, come l’aggressività o la gelosia, sono naturalmente considerate come dolore. Ma che dire dell’amore e dell’affetto, della gentilezza e della devozione, quelle emozioni belle e leggere? Non le consideriamo dolorose tuttavia, implicano la dualismo e questo significa che, alla fine, sono una fonte di sofferenza.
La mente dualistica include quasi tutti i nostri pensieri. Perché è qualcosa di doloroso? Perché è sbagliata. Ogni mente dualistica è una mente sbagliata, una mente che non comprende la natura delle cose. Come possiamo comprendere la dualità? Si tratta di soggetto e oggetto: noi stessi da un lato e la nostra esperienza dall’altro. Questo tipo di percezione dualistica è errata, come possiamo facilmente capire nel caso di persone diverse che percepiscono lo stesso oggetto in modi differenti. Un uomo può pensare che una certa donna sia bella e questa è la sua verità. Ma se questa fosse una sorta di verità assoluta e indipendente, anche tutti gli altri uomini dovrebbero vederla bella. Chiaramente, questa non è una verità indipendente da tutto il resto. Dipende dalla nostra mente, è una nostra proiezione.
La mente dualistica crea molte aspettative: molta speranza, molta paura. Ogni volta che c’è una mente dualistica, c’è speranza e paura. La speranza è un dolore perfetto e sistematico. Tendiamo a pensare che non sia dolorosa, ma in realtà è fonte di grande sofferenza. Per quanto riguarda la paura, non c’è bisogno di spiegarlo.
Il Buddha ha detto: “Comprendi la sofferenza”. Questa è la prima Nobile Verità. Molti di noi confondono il dolore con il piacere: il piacere che proviamo ora è in realtà la causa stessa del dolore che prima o poi proveremo. Un altro modo buddhista di spiegarlo è dire che quando un grande dolore diventa più piccolo, lo chiamiamo piacere. Questo è ciò che chiamiamo felicità.
Inoltre, le emozioni non hanno una sorta di esistenza intrinsecamente reale. Quando le persone assetate vedono un miraggio, provano una sensazione di sollievo: “Fantastico, c’è dell’acqua!”. Ma quando si avvicinano, il miraggio scompare. Questo è un aspetto importante delle emozioni: l’emozione è qualcosa che non ha un’esistenza indipendente.
Ecco perché i buddhisti concludono che tutte le emozioni sono dolorose. Proprio perché impermanenti e dualistiche, sono incerte e sempre accompagnate da speranze e paure. Ma in definitiva non hanno, e non hanno mai avuto, una natura intrinsecamente esistente, quindi, in un certo senso, non valgono molto. Tutto ciò che creiamo attraverso le nostre emozioni è, alla fine, completamente inutile e doloroso. Ecco perché i buddhisti praticano la meditazione shamatha e vipashyana: permettono di allentare la presa che le emozioni hanno su di noi e le ossessioni che ci causano.
Il terzo sigillo: tutti i fenomeni sono vuoti; sono privi di esistenza intrinseca
Quando diciamo “tutti”, intendiamo tutto, compreso il Buddha, l’illuminazione e il sentiero. I buddhisti definiscono un fenomeno come qualcosa che ha delle caratteristiche e come un oggetto che viene concepito da un soggetto. Ritenere che un oggetto sia qualcosa di esterno è ignoranza ed è questo che ci impedisce di vedere la verità di quell’oggetto.
La verità di un fenomeno è chiamata shunyata, la vacuità, il che implica che il fenomeno non possiede un’essenza o una natura realmente esistente. Quando una persona o un soggetto illuso vede qualcosa, l’oggetto visto viene interpretato come qualcosa di realmente esistente. Tuttavia l’esistenza imputata dal soggetto è una supposizione errata. Tale supposizione si basa sulle diverse condizioni che fanno apparire un oggetto come vero anche se non è così che l’oggetto è realmente. È come quando vediamo un miraggio: non c’è un oggetto realmente esistente, anche se appare così. Con la vacuità, il Buddha intendeva dire che le cose non esistono davvero come erroneamente crediamo e che sono davvero vuote di quell’esistenza falsamente imputata.
È proprio perché crediamo in quelle che in realtà sono solo proiezioni confuse che noi esseri senzienti soffriamo. Il Buddha insegnò il Dharma come rimedio a questa situazione. In parole povere, quando parliamo di vacuità, intendiamo dire che il modo in cui le cose appaiono non è quello in cui sono realmente. Come ho detto prima parlando di emozioni, potete vedere un miraggio e pensare che sia qualcosa di reale, ma quando vi avvicinate, il miraggio scompare, per quanto reale potesse apparirvi all’inizio.
La vacuità può essere talvolta definita come dharmakaya e, in un contesto diverso, potremmo dire che il dharmakaya è permanente, non cambia mai, è onnipresente e usare ogni sorta di belle parole poetiche. Queste sono le espressioni mistiche che appartengono al sentiero, ma per il momento siamo ancora allo stadio iniziale, tentando di ottenere una comprensione intellettuale. Sul sentiero, potremmo raffigurare il Buddha Vajradhara come simbolo del dharmakaya, o vacuità, ma da un punto di vista accademico, anche solo pensare di dipingere il dharmakaya è un errore.
Il Buddha insegnò tre approcci diversi in tre occasioni distinte. Questi sono noti come I tre giri della ruota, ma possono essere riassunti in un’unica frase: “Mente; non c’è mente; la mente è luminosità”.
La prima “Mente” si riferisce alla prima serie di insegnamenti e dimostra che il Buddha insegnò che esiste una “mente”. Questo per sfatare la visione nichilista secondo cui non esistono né paradiso, né inferno, né causa ed effetto. Poi, quando il Buddha disse “non c’è mente”, intendeva dire che la mente è solo un concetto e che non esiste una mente realmente esistente. Infine, quando disse “la mente è luminosità”, si riferiva alla natura di buddha, la saggezza non velata o primordialmente esistente.
Il grande commentatore Nagarjuna disse che lo scopo del primo giro della ruota del Dharma era la liberazione dalla non-virtù. Da dove viene la non-virtù? Viene dall’essere eternalisti o nichilisti. Quindi, per porre fine alle azioni e ai pensieri non virtuosi, il Buddha diede il suo primo insegnamento. Il secondo giro della ruota del Dharma, quando il Buddha parlò della vacuità, fu esposto per dissipare l’aggrapparsi a un “sé realmente esistente” e a “fenomeni realmente esistenti”. Infine, gli insegnamenti del terzo giro furono impartiti per dissipare tutti i punti di vista, anche quello del non sé. Le tre serie di insegnamenti del Buddha non cercano di introdurre qualcosa di nuovo; il loro scopo è semplicemente quello di eliminare la confusione.
Come buddhisti pratichiamo la compassione, ma se non comprendiamo questo terzo sigillo – che tutti i fenomeni sono vuoti – la nostra compassione può ritorcersi contro di noi. Se siete attaccati all’obiettivo della compassione quando state cercando di risolvere un problema, potreste non accorgervi che la vostra idea di soluzione è interamente basata sulla vostra interpretazione personale. E potreste finire vittima della speranza e della paura, e di conseguenza della delusione. Cominciate diventando “buoni praticanti Mahayana” e, prima o poi, cercate di aiutare gli esseri senzienti ma se non avete compreso il terzo sigillo, vi stancherete presto e rinuncerete a farlo.
Una corretta comprensione della vacuità ci porta a vedere in che modo le cose sono collegate e come siamo responsabili del nostro mondo.
C’è un altro tipo di problema che nasce dalla mancata comprensione della vacuità. Si verifica con certi buddhisti piuttosto superficiali e perfino stucchevoli. In qualche modo, all’interno dei circoli buddhisti, se non accetti la vacuità, non sei figo. Quindi fingiamo di apprezzare la vacuità e fingiamo di meditare su di essa. Ma se non la comprendiamo correttamente, può verificarsi un effetto collaterale negativo. Potremmo dire: “Oh, tutto è vuoto. Posso fare quello che voglio”. Così ignoriamo e violiamo i dettagli del karma, la responsabilità delle nostre azioni. Diventiamo “ineleganti” e, nel contempo, scoraggiamo gli altri. Sua Santità il Dalai Lama parla spesso di questa caduta dovuta alla mancata comprensione della vacuità.
Si possono leggere milioni di pagine su questo argomento. Solo Nagarjuna scrisse cinque diversi commentari dedicati principalmente a questo soggetto, e poi ci sono i commenti dei suoi seguaci. Ci sono infiniti insegnamenti per stabilire questa visione. Nei templi o nei monasteri Mahayana si canta il Sutra del Cuore Prajnaparamita, che è anche un insegnamento sul terzo sigillo.
Le filosofie o le religioni possono sostenere che le cose sono illusorie, il mondo è maya, illusione, ma ci sono sempre uno o due elementi che vengono considerati realmente esistenti: Dio, l’energia cosmica, o altro. Nel Buddhismo non è così. Tutto nel samsara e nel nirvana, dalla testa del Buddha a un pezzo di pane, è vacuità. Non c’è nulla che non sia incluso nella verità ultima.
Il quarto sigillo: il nirvana è al di là degli estremi
Ora che ho spiegato la vacuità, ritengo che anche il quarto sigillo, “Il Nirvana è oltre gli estremi”, sia stato trattato. Ma brevemente, anche quest’ultimo è qualcosa di unicamente buddhista. In molte filosofie o religioni, l’obiettivo finale è qualcosa a cui ci si può aggrappare e che si può conservare. La meta finale è l’unica cosa che esiste veramente. Ma il nirvana non è un costrutto, quindi non è qualcosa a cui aggrapparsi. Si parla di “oltre gli estremi”.
In qualche modo pensiamo di poter andare da qualche parte dove avremo una poltrona migliore, un impianto idraulico migliore, un sistema fognario migliore, un nirvana dove non c’è nemmeno bisogno di un telecomando, dove tutto è lì nel momento in cui lo pensiamo. Ma come ho detto prima, non è che stiamo aggiungendo qualcosa di nuovo che prima non c’era: il Nirvana si raggiunge quando si elimina tutto ciò che era costruito e oscurante.
Finché questi quattro sigilli sono la vostra visione, nulla può andare storto.
Non importa se siete monaci o monache che hanno rinunciato alla vita mondana o se siete uno yogi che pratica metodi tantrici profondi. Se quando cercate di abbandonare o trasformare l’attaccamento alle vostre esperienze non avete compreso questi quattro sigilli, finirete per considerare i contenuti della vostra mente come manifestazioni di qualcosa di malvagio, diabolico e cattivo. Se questo è ciò che fate, siete lontani dalla verità. E lo scopo del Buddhismo è proprio quello di farvi capire la verità. Se ci fosse una vera permanenza nei fenomeni composti, se ci fosse un vero piacere nelle emozioni, il Buddha sarebbe stato il primo a raccomandarle, dicendo: “Per favore, conservatele e fatene tesoro”. Ma grazie alla sua grande compassione, non lo disse perché voleva che avessimo ciò che è vero, ciò che è reale.
Quando avrete una chiara comprensione di questi quattro sigilli come base della vostra pratica, vi sentirete a vostro agio qualunque cosa accada. Finché questi quattro sigilli saranno la vostra visione, nulla potrà andare storto. Chiunque abbia questi quattro sigilli nel cuore o nella testa e li contempli è un buddhista. Non c’è alcun bisogno che una persona del genere venga chiamata buddhista: è per definizione un seguace del Buddha.
Questo articolo si basa su una conferenza intitolata “Cosa è e cosa non è il Buddhismo”, tenuta a Sydney, in Australia, nell’aprile del 1999.
Tradotto da The Four Seals of Dharma are Buddhism in a Nutshell