Impermanenza e morte

Impermanenza e morte

La vita è fragile e la sua natura transitoria. È facile vedere come cambi anche solo in un anno, un mese, una settimana, un giorno, un’ora, un minuto e perfino secondo dopo secondo. Ci sono sessantacinque parti nel brevissimo istante di tempo che ci vuole per schioccare le dita, e anche in quella frazione di tempo la vita sta mutando. “Perché dovrei essere sorpreso dal fatto che la vita cambi così tanto? È naturale, lasciamo che accada!” Pensare in questo modo è sciocco e futile perché anche in quei brevissimi istanti stiamo invecchiando. Alcuni potrebbero dire: “È una cosa naturale diventare anziani, lasciamo che accada”. Questo è un altro atteggiamento sbagliato, il non preoccuparsi dell’invecchiamento. Altri ancora, per esempio molti Occidentali, tendono a negare la natura impermanente della loro vita: non desiderano affatto vederne la vera natura e cercano di mascherare il proprio aspetto agli occhi degli altri che, a loro volta, si prestano allo stesso gioco. Si tratta di un tentativo assolutamente vano che non fa parte del potenziale livello di conoscenza della nostra mente. Inoltre, dal punto di vista del Dharma, non rientra sicuramente tra gli scopi della rinascita umana. Nessuno sforzo artificiale può trasformare un ottantenne in un sessantenne. L’età non può mai diminuire agli occhi della mente veramente illuminata che comprende appieno la sofferenza del corpo samsarico, data dalla sua natura impermanente. La mente di queste persone vive una doppia illusione: crede nelle creazioni artificiali (le scoperte scientifiche usate per preservare la materia e la vita dalla rovina e dal decadimento) e la concezione errata che esista un soggetto permanente. La prima fa sorgere continuamente problemi, la seconda ci fa diventare più ignoranti, pigri e distratti. Ci sono due livelli di impermanenza:

1. grossolano, che include i cambiamenti della materia che avvengono nel lungo periodo;

2. sottile, che riguarda i cambiamenti interiori della mente e i cambiamenti invisibili della materia.

La nostra mente non può percepire i cambiamenti sottili della materia, ma solo quelli grossolani che avvengono giorno dopo giorno, ora dopo ora, come la rovina e il decadimento e così via. Questo mondo, simile a un contenitore, è unico e diverso in ogni istante: anche ora non è com’era un momento fa. La ragione per cui sembra continuare nello stesso modo è perché sorge qualcosa di simile, come il flusso di una cascata.

Perché dovrei preoccuparmi dei cambiamenti dovuti all’invecchiare? Perché gli anni volano: passano i mesi, i giorni, i secondi e io divento più vecchio, perciò l’occasione perfetta per ottenere l’Illuminazione fornitami dalla mia rinascita umana si va esaurendo man mano che mi avvicino alla morte. Ora ho l’equipaggiamento giusto, un pilota, un’astronave e combustibile sufficiente per navigare attraverso l’universo e visitare tutti i pianeti. E invece sono seduto qui con il motore che gira, consumando il carburante mentre la mia mente è distratta da altre cose. Quanto più a lungo ciò accade e tanto più perdo l’occasione di vedere altri pianeti. Mentre il carburante brucia, il tempo si accorcia. Tuttavia, perfino questa analogia non illustra adeguatamente che tragedia sia sprecare questa preziosa rinascita umana. Anche se la mia vita durasse centomila anni, la morte si avvicinerebbe allo stesso modo. Per ogni secondo che passa, il tempo a disposizione si accorcia.

Ogni anno che passa abbrevia la nostra vita e il momento della morte si avvicina. Anche se mi prendessi cura di me, perfino un’esistenza così lunga alla fine dovrebbe terminare. Perché non dovrebbe accadere anche a me? Al confronto la mia attuale vita è estremamente breve, forse durerà quaranta o cinquant’anni, di sicuro non più di ottanta o cento anni. Per ogni secondo, minuto, ora, giorno, mese e anno la vita si accorcia, avvicinandosi alla morte. Questa vita umana è davvero breve: questo mio corpo non ha molto da vivere. (…)

In che modo i miei attaccamenti provocano grande sofferenza al momento della morte? Nel momento della morte mi rendo conto che mi sto separando da tutti i miei possedimenti e dai miei cari, così sorgono in me un attaccamento e una paura fortissimi. La mia ansia è molto più intensa di una normale preoccupazione, come quella derivante dalla separazione di una coppia o dai genitori. In quel momento il mio corpo genera molta sofferenza e, benché me ne sia preso cura molto più che degli altri esseri, ora è diventato mio nemico. Al momento della morte, il re e il mendicante sono esattamente identici perché nessuna quantità di parenti o di ricchezze può prevenire o influire su di essa. Chi è il più ricco di fronte alla morte? Se il mendicante ha creato più meriti allora, benché appaia materialmente povero, è lui davvero benestante. Dal punto di vista del Dharma, la mente che si è preparata per il viaggio verso la vita successiva possiede le vere ricchezze.

Se i beni materiali, i parenti e gli amici sono così insignificanti e ininfluenti al momento della morte e provocano sofferenza t rasformandosi in nemici, perché do loro così tanta importanza e passo così tanto tempo a prendermene cura? Per innumerevoli esistenze ho avuto attaccamento verso il mio corpo fisico, fornendogli tutti gli agi della vita, eppure questa cura non è ancora finita ed esso continua a causarmi problemi. Tutta queste attenzioni hanno davvero una fine? Non sarebbe meglio trascorrere il tempo a lavorare per qualcosa che può essere portato a termine? Padmasambhava ha detto: La visione di questa vita è come il sogno della scorsa notte. Ogni azione insignificante è come le increspature di un lago. Prendendomi cura solo del mio corpo fisico, sono come chi, pur dovendo in ogni caso morire domani, oggi si reca in ospedale per delle cure costose. Tutte le felicità temporanee sono insignif icanti e portano solo a risultati di sofferenza, non aiutando mai a porre fine al ciclo di morte e rinascita. Al momento ultimo, gli innumerevoli parenti, tutti i possedimenti — perfino infiniti universi colmi di altrettanti gioielli — così come il mio corpo, di cui mi sono curato più di qualunque altro corpo, devono essere abbandonati. Sono utili quanto un singolo capello, perché alla morte nessuna di queste cose andrà via con la mente: in effetti, non c’è alcuna differenza tra tutti i beni del mondo e un filo sottile. Dal momento che non sono sicuro di esistere da un secondo all’altro, perché dovrei provare attaccamento per il mio corpo oppure per qualsiasi possedimento, perfino adesso?

Tratto da L’addestramento mentale Mahayana – Una guida che conduce rapidamente all’illuminazione

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