Usare il veleno come medicina

Usare il veleno come medicina

I momenti più difficili – quelli più problematici a livello individuale o sociale – possono diventare quelli spiritualmente più potenti… se siamo abbastanza coraggiosi da accettare e convivere con l’incertezza. Tra i vari approcci che Pema Chödrön descrive per usare i nostri problemi come sentiero per il risveglio e la gioia c’è “usare il veleno come medicina”.

Possiamo usare le situazioni difficili – il veleno – come carburante per il risveglio.

In generale, questa idea è illustrata dalla pratica di meditazione chiamata tonglen che consiste nell’assumere su di sé la sofferenza ed emanare energia positiva.

Quando si presenta qualcosa di indesiderabile – qualsiasi tipo di conflitto, il nostro abituale senso d’inadeguatezza, qualsiasi cosa che ci appaia come sgradevole, imbarazzante o dolorosa – invece di cercare di liberarcene, la respiriamo. 

I tre veleni sono:

  • l’attaccamento (che include il desiderio o la dipendenza)
  • l’aggressività
  • l’ignoranza (che implica la negazione o la tendenza a chiudersi e ad arrendersi).

Di solito pensiamo a questi veleni come a qualcosa di brutto, da evitare. Ma non è necessariamente così perché possono trasformarsi in semi di compassione e di apertura. Quando sorge la sofferenza, l’istruzione del tonglen è di lasciare andare la storia che ci stiamo raccontando e inspirarla dentro di noi: non solo la rabbia, il risentimento o la solitudine che proviamo, ma lo l’identico dolore che gli altri stanno provando nello stesso momento.

Inspiriamo quella sofferenza per tutti gli esseri senzienti perché questo veleno non è solo la nostra personale infelicità, la nostra colpa, la nostra vergogna, ma è parte della condizione umana. È il nostro legame di parentela con tutti gli esseri viventi, il materiale di cui abbiamo bisogno per capire davvero che cosa significa mettersi nei panni di un’altra persona. Invece di respingere dalla sofferenza o tentare in tutti i modi di sfuggirle, la respiriamo e ci connettiamo pienamente a essa. Lo facciamo con il desiderio che tutti noi possiamo esserne liberi. Poi espiriamo, mandando fuori un senso di grande spaziosità, un senso di apertura e di freschezza. Lo facciamo con il desiderio che tutti noi possiamo rilassarci e sperimentare l’essenza più profonda della nostra mente.

Il punto principale di questo metodo è quello di dissolvere la nostra abituale visione dualistica, la nostra tendenza a lottare contro ciò che sta accadendo a noi o in noi.

Ci viene detto fin da piccoli che c’è qualcosa di sbagliato in noi, nel mondo e in tutto ciò che accade. Nulla è perfetto, c’è sempre qualcosa che non va o che dovrebbe essere diverso da quel che è. Così cresciamo con la convinzione che sia nostro dovere cercare di migliorare le cose, fuori o dentro di noi. La pratica del tonglen, invece, mira a smantellare questo preconcetto e a dissolvere questa lotta dualistica, questa tendenza abituale a rifiutare e cercare di eliminare ciò che sta accadendo a noi o in noi. Ci insegna a muoverci verso le difficoltà piuttosto che indietreggiare. 

Tutto ciò che ci accade non solo è utilizzabile e “lavorabile”, ma è in realtà il sentiero stesso. Possiamo usare tutto ciò che ci capita come mezzo per svegliarci. Possiamo usare tutto ciò che dobbiamo affrontare – che siano le nostre emozioni e i nostri pensieri conflittuali o la nostra situazione esteriore – in modo che ci mostri quanto siamo “addormentati” e come invece possiamo svegliarci completamente, totalmente, senza riserve.

Usare il veleno come medicina, significa dunque usare le situazioni difficili per risvegliare la nostra genuina compassione per le altre persone che, proprio come noi, spesso si trovano nel dolore. Come dice uno slogan del lojong:

“Quando il mondo è pieno di sofferenza, tutti i dolori, tutte le difficoltà, tutti gli ostacoli dovrebbero essere trasformati nel sentiero dell’illuminazione”. 

Liberamente tratto da Three Methods for Working with Chaos

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