A volte praticare il Dharma diventa una gran seccatura. Diciamo che vi siete assunti l’impegno di fare quotidianamente la sadhana di Tara Cittamani, ma siete perennemente in affanno su tutto. Ogni volta che vedete un’immagine di Tara vi viene male – “accidenti, è già mezzanotte!” – e vi sentite un disastro. Eppure vi basterebbe fare la pratica anche in un paio di minuti, ma come si deve. Avere sensi di colpa è inutile, fate la pratica al meglio e basta.
Voi Occidentali avete la mania di prendere un sacco di iniziazioni, si assumervi troppi impegni di Dharma, davvero troppi per riuscire a portarli a termine tutti quanti. In altre parole, vi perdete nel materialismo spirituale. Non sapete più che cosa fare. Sadhane di Chenrezig, di Tara e di tutte le altre divinità: fate solo una gran confusione e non ci capite più nulla.
E così, anziché essere utile, il Dharma diventa il vostro nemico, la causa della vostra frustrazione e dei vostri sensi di colpa. Ovviamente tutto ciò è del tutto inutile.
Ogni sadhana di solito è composta da una preghiera di rifugio, da recitare tre volte, da cinque o sei preghiere per la generazione della bodhicitta e da qualche tipo di pratica di Vajrasattva. Se avete poco tempo, fate una buona meditazione sulla bodhicitta è sarà sufficiente. Concentratevi bene su un punto e poi passate velocemente ai successivi. Fate così, piuttosto che permettere alla vostra pratica di diventare un disastro.
Atisha una volta disse: “I tibetani si dedicano a cento divinità e non ne realizzano una, mentre gli indiani si dedicano a una divinità e ne realizzano cento”. Penso che Atisha abbia espresso un concetto ragionevole e corretto. L’approccio indiano è di gran lunga migliore di quello tibetano.
Fate una cosa alla perfezione e alla fine otterrete tutto!
La sadhana di Tara è un esempio perfetto. Se praticate ogni giorno, se fate un ritiro per molti mesi o anni – magari fate solo il ritiro di Tara per cinquant’anni – allora tra cinquant’anni, avendo ottenuto la realizzazione di Tara, potrete fare qualsiasi altra cosa. Ma in questo momento, continuate a vagare a vuoto perché non avete ancora nulla. Capita così anche con il Dharma.
Facciamo un esempio: un maestro sta dando un insegnamento molto potente. “Wow – pensate – voglio prendere anche questa iniziazione perché è davvero straordinaria!” Se pensate in questo modo, vi state facendo un gran trip! Se non siete realistici, anche quella pratica sarà del tutto inutile. Non otterrete alcuna realizzazione, poco importa quanti insegnamenti abbiate ricevuto, perché non ci sarà in voi alcuna sadhana.
Questo insegnamento di Lama Yeshe è tratto da un commento alla pratica di Tara Cittamani dato al monastero di Kopan ( Nepal), nel gennaio-febbraio 1979. Tratto da Big Love: The Life and Teachings of Lama Yeshe.
Big Love: The Life and Teachings of Lama Yeshe
Una monumentale opera in due volumi di 700 pagine ciascuno che racchiude la biografia ufficiale di Lama Yeshe. Storie personali dei lama e degli studenti che hanno imparato, vissuto e viaggiato con Lama, oltre 1.500 foto risalenti agli anni ’60.
Il libro racconta la storia di Lama Yeshe, di come ha incontrato Lama Zopa Rinpoce e di come hanno creato la Fondazione per la conservazione della tradizione Mahayana (FPMT), una delle più grandi organizzazioni buddiste tibetane del mondo. Inizia in Tibet, dove è nato Lama, e si trasferisce nel campo profughi di Buxaduar nel Bengala Occidentale, dove Rinpoche è diventato suo studente. Quindi in altre parti dell’India e del Nepal, e infine in tutto il mondo.
L’autrice, Adele Hulse, una delle prime studenti di Lama, evidenzia il suo legame speciale con i primi ricercatori del Dharma e intreccia abilmente le loro storie intime con i dettagli di dove Lama è andato, degli insegnamenti che ha dato e dei centri che ha aperto. Fa rivivere quanto fosse speciale e come si collegasse con persone di tutto il mondo e di ogni estrazione sociale.