Esistono vari livelli di pratica buddhista. Quello più avanzato, più sofisticato quanto a comprensione, più impegnativo con la mente e per la sua trasformazione, si trova nel Vajrayana e nel Tantrayana. Per varie ragioni tecniche, si dice che sia il sentiero più rapido verso l’Illuminazione.
Una delle pratiche essenziali è chiamata yoga della divinità: l’immaginazione, la visualizzazione di un particolare buddha al di fuori di voi, la divinità che è l’equivalente di buddha nel tantra. A un certo punto della sadhana, le fasi della visualizzazione, immaginate che quella divinità si dissolva in voi e che voi diventiate la divinità. Man mano che si progredisce nella pratica, alla fine si ottiene esattamente questo: si diventa il Buddha.
I lama dicono che si tratta di portare il risultato futuro nel presente. Non è solo un desiderio, una aspirazione: è una causa che lo fa accadere.
Davanti a voi c’è Tara, per esempio. Lei, come tutti i buddha, ha tutte le qualità di un essere illuminato, ma mostra l’aspetto particolare dell’azione, del potere, della fiducia, una delle tre qualità essenziali di un buddha. C’è la compassione di voler beneficiare gli altri, Chenrezig; la saggezza che sa come farlo, Manjushri; e il potere, la capacità di farlo, Tara.
La vediamo come un’immagine speculare del nostro potenziale; ci mostra che cosa possiamo diventare. Questo è molto incoraggiante.
Riconoscendo che lei è questo, immaginiamo che venga alla corona della nostra testa e che si dissolva felicemente in noi e che il suo corpo, la sua parola e la sua mente diventino un tutt’uno con il nostro corpo, la nostra parola e la nostra mente. Mi identifico e mi esercito a diventare Tara.
Questo è il massimo della psicologia positiva!
Lama Yeshe ha sempre pensato, fin dall’inizio del suo incontro con gli studenti occidentali negli anni ’70, che avremmo potuto beneficiare di versioni semplici di queste pratiche.
Nei primi stadi della pratica buddhista dobbiamo imparare a imbrigliare l’energia del nostro corpo e della parola, il che significa non fare del male agli altri. Gradualmente passiamo al livello successivo, in cui diventiamo intimamente familiari con la nostra mente e impariamo a imbrigliarla, controllarla, sottometterla, il tutto basandoci sulla chiara distinzione tra gli stati mentali nevrotici e illusori – come l’attaccamento, la rabbia e la gelosia – e gli stati mentali virtuosi e costruttivi come l’amore, la compassione e la pazienza.
È un lavoro davvero difficile! In questa fase ci si concentra molto sul negativo, che è la fonte del nostro dolore e il motivo per cui facciamo del male agli altri. Mettiamo le mani nella nostra stessa merda.
Poi passiamo al sentiero Mahayana e continuiamo a ridurre le afflizioni mentali e a far crescere le nostre virtù, abbattendo gradualmente le barriere tra sé e gli altri.
Ora, al livello più avanzato del Mahayana, spostiamo l’attenzione sulle nostre buone qualità, sulle nostre virtù, sulla nostra bontà, sulla nostra saggezza e ci identifichiamo con tutto questo praticando le varie divinità, ognuna delle quali rappresenta la bontà che è in noi.
Al centro di queste pratiche coltiviamo quello che i lama chiamano orgoglio divino. Io sono questo essere glorioso, capace e saggio chiamato Tara! È così benefico pensare in questo modo. Paradossalmente, ci vuole coraggio perché siamo tanto abituati a credere nelle nostre qualità negative, identificandoci con esse: “Sono arrabbiato, sono depresso, non sono intelligente. No, non è possibile, non posso diventare un buddha”. Questa è il paradosso dell’ego.
Il fatto è che possiamo. Il potenziale per liberare completamente la nostra mente dalle afflizioni e sviluppare alla perfezione la nostra saggezza e la nostra bontà è nel nostro nucleo: è ciò che ci definisce. La nostra mente è fondamentalmente pura.
Queste pratiche ci sollevano, ci incoraggiano, aprono il nostro cuore. Identificandoci con il nostro potenziale futuro, lo facciamo maturare nel presente.
Tradotto da Bringing the future result into the present