Aryadeva, il filosofo Mahāyāna della vacuità e della compassione

Aryadeva, il filosofo Mahāyāna della vacuità e della compassione

Aryadeva ci dice: “All’inizio, dobbiamo abbandonare tutte le azioni negative; nel mezzo, ogni attaccamento all’ego; e alla fine, tutti gli estremi, opinioni o concetti.” Per ottenere una tale realizzazione, dobbiamo unire la saggezza con lo sviluppo interiore. La conoscenza teorica e la convinzione intellettuale non sono sufficienti. Noi stessi dobbiamo riflettere, usando le circostanze della vita come una lezione, al fine di convalidare la dottrina mediante esperienza personale e autentica familiarità. La meditazione è il processo graduale che ci conduce a una nuova visione. (Sua Santità il XIV Dalai Lama)

Āryadeva è stato un filosofo buddhista indiano vissuto a cavallo tra il II e il III secolo d.C. che, insieme al suo maestro Nāgārjuna (circa 150-250 d.C.) è considerato uno dei fondatori della “Filosofia del Mezzo” (Madhyamaka). Questa filosofia del Grande Veicolo (Mahāyāna) si caratterizza per il suo utilizzo della dialettica per respingere qualsiasi attribuzione di natura intrinseca (svabhāva) alle cose, intesa come ciò che una cosa è in sé, completamente indipendentemente da altri fattori. 

Mentre possedere una natura intrinseca è considerato dalla maggior parte dei pensatori indiani una condizione necessaria affinché qualcosa sia un’entità completamente reale (bhāva), Āryadeva, Nāgārjuna e i loro seguaci, i Mādhyamika, sostenevano che tutte le cose sono ciò che sono solo in modo dipendente. La conclusione? Le cose sono “vuote” (śūnya) di natura intrinseca ed è impossibile che esistano entità completamente reali, dotate di proprietà completamente reali. Come Nāgārjuna, Āryadeva non è quindi un realista metafisico (Tib. dngos smra ba – Skt. bhāvavādin), il suo pensiero è in netto contrasto con quello dei suoi avversari indiani e della maggior parte dei suoi contemporanei buddhisti. 

Secondo Candrakīrti (VI secolo d.C.), uno dei due commentatori indiani di Āryadeva, egli nacque come principe a Siṃhaladvīpa. In seguito viaggiò da Siṃhaladvīpa, probabilmente in Sri Lanka, fino al sud dell’India per diventare discepolo del grande pensatore Mādhyamika Nāgārjuna, autore delle Madhyamakakārikā

Le Madhyamakakārikā sono un’opera fondamentale nel Buddhismo Mahāyāna e rappresentano una pietra miliare nella filosofia buddhista; spesso tradotte come “Versi sulla Via di Mezzo”, sono composte da 27 capitoli, ognuno dei quali presenta strofe che trattano di vari aspetti della filosofia Madhyamaka. L’opera è incentrata sulla critica della visione dualistica del mondo e sull’affermazione che tutti i fenomeni sono “vuoti” (śūnyatā) di natura intrinseca. Nāgārjuna utilizza un approccio dialettico per esaminare le concezioni errate sulla realtà e per dimostrare che tutte le cose sono prive di una natura intrinseca e indipendenti. Attraverso una serie di argomentazioni e analisi, cerca di condurre il praticante oltre il dualismo concettuale e verso una comprensione più profonda della realtà.

Dopo aver presumibilmente fondato alcuni monasteri nel sud dell’India, Āryadeva si trasferì nel nord del Paese, presso l’università del Nālandā. Tutte le fonti concordano sulle sue abilità nel difendere il Buddhismo dai pensatori non buddhisti. Infatti, il suo lavoro principale, le Quattrocento Stanze (Catuḥśataka) – considerato sia un commentario che un supplemento al Trattato sulla Via di Mezzo di Nagarjuna – dimostra una profonda conoscenza delle dottrine non buddhiste dell’epoca, in particolare quelle delle scuole brahmaniche come il Sāṃkhya e il Vaiśeṣika, che critica aspramente.

Ecco quindi una breve panoramica del contenuto delle Quattrocento Stanze. I capitoli da uno a otto affrontano temi etici, molti dei quali sono comuni alla maggior parte dei pensatori buddhisti, sia del Grande Veicolo che di altre tradizioni. I primi quattro, ad esempio, criticano le quattro illusioni fondamentali (viparyāsa) che governano la nostra psiche. 

I capitoli successivi trattano rispettivamente delle pratiche del bodhisattva che conducono all’illuminazione, dell’eliminazione delle passioni (kleśa) che ostacolano tali pratiche e dell’eliminazione dell’attaccamento agli oggetti dei sensi; l’ottavo capitolo è dedicato alle pratiche appropriate per i praticanti buddhisti. 

Nella seconda metà dell’opera troviamo dettagliate confutazioni di varie ontologie, buddhiste e non buddhiste, così come accurate istruzioni sui principi metodologici del pensiero Madhyamaka. I capitoli da nove a undici confutano rispettivamente la realtà delle entità permanenti (nitya), dei sé personali (ātman) e del tempo (kāla); il capitolo dodici confuta le “opinioni eretiche” (dṛṣṭi), tra cui le opinioni non buddhiste sulla liberazione, la scrittura e l’ascetismo, e critica l’importanza attribuita alla nascita di alto lignaggio; il capitolo tredici confuta le posizioni buddhiste e non buddhiste sulla realtà delle facoltà sensoriali e dei loro oggetti (indriyārtha); il capitolo quattordici confuta la nostra ipostatizzazione – astrarre dalla realtà fenomenica concetti, qualità, ecc., rendendoli per sé sussistenti – profondamente radicata delle dicotomie, o “estremi” (antagrāha); il capitolo quindici confuta la realtà delle cose condizionate (saṃskṛtārtha); il capitolo sedici, intitolato “Coltivare la comprensione nel maestro e nel discepolo”, tratta del metodo Madhyamaka e delle questioni logiche che sorgono nell’attuare tale metodo. 

Sinossi dell’Opera

1. Illusioni fondamentali: I primi quattro capitoli trattano delle quattro illusioni fondamentali (viparyāsa) che influenzano la nostra percezione del mondo. Queste illusioni riguardano la tendenza a considerare la vita transitoria come permanente, il piacere come dolore, il mondo impuro come puro e l’io come dotato di un sé permanente.

2. Pratiche del bodhisattva: I capitoli successivi descrivono le pratiche del bodhisattva, ovvero coloro che aspirano all’illuminazione per il bene di tutti gli esseri senzienti. Queste pratiche includono lo sviluppo delle qualità della saggezza, della compassione e della pazienza, nonché la pratica della generosità, dell’etica e della meditazione.

3. Eliminazione delle passioni: Altri capitoli si concentrano sull’eliminazione delle passioni (kleśa) che ostacolano il percorso verso l’illuminazione. Queste passioni includono l’attaccamento, l’odio, l’ignoranza e altre forme di attaccamento egoistico.

4. Critica delle dottrine non buddiste: Āryadeva critica in modo dettagliato le dottrine non buddhiste dell’epoca, in particolare quelle delle scuole Brahmaniche come il Sāṃkhya e il Vaiśeṣika. Utilizza argomentazioni dialettiche per dimostrarne incongruenze e contraddizioni.

5. Confutazione delle ontologie: Una parte significativa del testo è dedicata alla confutazione di varie ontologie, sia buddhiste che non buddhiste. Āryadeva dimostra che tutte le cose sono prive di una natura intrinseca e indipendenti, e che quindi non possono essere considerate come entità reali e permanenti.

6. Metodo Madhyamaka: Infine, Āryadeva fornisce istruzioni sui principi metodologici del pensiero Madhyamaka, compreso l’uso della ragione e della dialettica per investigare la natura della realtà e per superare il dualismo concettuale.

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