Parliamo un po’ di rinuncia. La rinuncia al samsara è essenziale, è fondamentale per tutti noi. Perché se non l’abbiamo realizzata, il nostro atteggiamento sarà sempre quello di fare totalmente affidamento sugli oggetti di senso, come questo fiore, per il nostro piacere e per la nostra felicità, come ad esempio il piacere che ci dà la nostra relazione con questo fiore.
Quindi se non abbiamo realizzato la rinuncia al samsara, continueremo a nutrire una sorta di fiducia profonda, ad aggrapparci a un’idea preconcetta: “Mi fido completamente di te [questo fiore], sei tu la fonte della mia felicità quindi ti amo e tu dovresti amare me”. Questo tipo di irragionevole sopravvalutazione dei fenomeni temporali è estremo, è illogico e soprattutto è doloroso. E’ della natura della sofferenza.
Quindi dovremmo convincerci che sì, in questo momento rappresenta qualcosa di buono al momento, magari ci è anche d’aiuto, ci concede un po’ di piacere, ma è un piacere destinato a finire, dovremmo accettarlo ma non aspettarci niente più di questo. Con questo atteggiamento c’è molta meno tensione nella nostra relazione con ciò che consideriamo bello e gradevole.
Lo stesso vale per tutti i fenomeni esistenti
Qualunque piacere è transitorio, inconsistente e dovremmo accetarne la fine senza che essa ci causi sofferenza o frustrazione. Il piacere del mondo dei sensi si presenta e poi scompare, viene e poi se ne va. Questa è la rinuncia al samsara e ci rende più flessibili, resilienti.
Quando qualcosa finisce non dovremmo andare in pezzi e disperarci perché è nella natura di tutti i fenomeni che sorgono il fatto di avere una fine. Dovremmo pensare che anche noi per natura spariremo e pensare “e allora?” Dobbiamo accettare la realtà, senza irrigidirci, avere paura o sentirci tesi, rinunciando ad avere un’idea così irrealistica della realtà, di qualsiasi piacere o dolore possano esistere.
Il Buddhismo insegna alla nostra mente a percorrere la via di mezzo, evitando visioni estreme. In una relazione sentimentale, entrambe le persone coinvolte sono costantemente angosciate dall’idea di perdere il partner. Questa è la mente samsarica in azione: non avendo realizzato la rinuncia al samsara c’è attaccamento e sofferenza. Invece di piangere giorno e notte, sarebbe molto meglio meditare sulla rinuncia al samsara! Ecco perché la filosofia buddhista è così semplice, così pragmatica: si occupa direttamente della vita quotidiana. La filosofia buddhista non una sterile conoscenza antica, è una visione scientifica della realtà, della felicità e della sofferenza.
Ora, comprendere che tutti gli esseri viventi hanno gli stessi problemi di attaccamento e di ego ci permette di coltivare la bodhicitta, comprendendo la condizione esistenziale che condividiamo allentiamo la presa sul nostro io, riduciamo la nostra ipersensibilità, smettiamo di considerarci il centro dell’universo. Dal punto di vista del grande veicolo, il Mahayana, questo è un atteggiamento nevrotico anche se ha qualche buona qualità. È vero – quando guardiamo di più il mondo, la sofferenza degli altri esseri senzienti, la nostra infelicità si ridimensiona, il nostro dolore diventa poca cosa e così si crea psicologicamente dello spazio.
Oltre a questo, impariamo ad assumerci la responsabilità degli altri, sviluppando la nostra mente in maniera perfetta, totale, fino a realizzare la capacità di condurre tutti questi esseri senzienti alla perfezione, o alla liberazione, o all’illuminazione. È possibile. Dobbiamo sentire profondamente che abbiamo la capacità, il potenziale di farlo in prima persona.
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