Sulla Vacuità

Questo insegnamento è stato dato da Khensur Rinpoce presso il Centro Tara Bianca di Genova nel 2011.

Ci incontriamo in questa occasione per parlare un po’ di shunyata, la vacuità. La vacuità non è qualcosa di vago, ma è esclusione di qualcosa di specifico, richiede una comprensione mirata di quello che viene a essere escluso. Questa realtà della vacuità è qualcosa che trova riscontro anche sulla base di ricerche ed esplorazioni con mezzi scientifici, non è da accreditare solo perché ne parlano i testi sacri, sulla base di letture e quindi si arriva alla conclusione che i fenomeni sono per natura vacui. Gli scienziati lo hanno scoperto in laboratorio.

La vacuità non è qualcosa che semplicemente può essere recepito, concepito sulla base di testi filosofici, narrazioni, scritture, ma proprio i mezzi scientifici di ricerca, nel campo della fisica quantistica, portano a scoprire la vacuità, oggetto di scoperta, non di narrazione.

Personalmente sono molto compiaciuto e contento del fatto che parliamo di qualcosa che con la scienza moderna possiamo riscontrare con gli strumenti e i mezzi di ricerca. L’oggetto del nostro interesse è attuale.

So che molti di voi hanno già esperienza e conoscenza di Dharma, di Buddhismo, di cognizioni che tratteremo e hanno ricevuto molti insegnamenti, studiato e approfondito. Tuttavia, mi permetto di portare citazioni del grande Lama Tzong Khapa.

Lama Tzong Khapa ci trasmette proprio questo. Tutti gli insegnamenti, tutti i consigli spirituali del Buddha storico in effetti riportano alla realtà della vacuità. L’essenza di tutti gli insegnamenti del Buddha storico, che furono dati per il beneficio degli esseri migratori che noi siamo, è il tema della vacuità, l’essenza di tutto ciò che egli insegnò. Perciò cercheremo di approfondire questo tema.

Nel caso non ci fosse la saggezza, la comprensione della realtà ultima, della vacuità, sebbene potrebbe esserci grande familiarità, grande comprensione di quello che è la liberazione dall’esistenza ciclica, dalla sofferenza, sebbene ci fosse una grande familiarità anche con la Bodhicitta, la mente altruistica volta al risveglio per tutti gli esseri senzienti, la radice della nostra esistenza ciclica, non potrebbe essere intaccata e recisa. Perché alla base di tutta la nostra sofferenza, di tutti i condizionamenti e meccanismi che ci portano alla sofferenza, c’è il concepirsi come a sé stanti e indipendenti, il concepire sé stessi come un’identità separata e assoluta.

Questo concepirsi come entità a sé stante, separata, assoluta, non può essere rimosso, eliminato solo sulla base della rinuncia alla sofferenza, sulla base dell’amore, della compassione, e neppure sulla base della responsabilità universale di Bodhicitta.

Questi stati mentali – compassione, amore, l’altruismo e la responsabilità universale di Bodhicitta – non sono l’antidoto diretto al concepirsi come entità a sé stante. Quando si parla di marigpa (22.50), l’ignoranza che ci fa concepire come entità assolute, a sé stanti, è un affermarsi come auto-esistenti, esistenti in sé e di per sé. Per sradicare questo concepirsi come entità a sé stanti, auto-esistenti, occorre comprendere che non c’è un’entità a sé stante: non esistiamo come entità a sé stanti, questo fa da antidoto diretto.

Coloro che hanno interesse a comprendere la vacuità, che la apprezzano, che sentono questa chiamata alla comprensione della vacuità, che si sforzino per acquisire e ottenere questa comprensione di shunyata, è necessario comprendere l’interdipendenza, che è la ragione per affermare l’assenza di esistenza a sé stante, appunto per via dell’interdipendenza.

Voi che avete studiato molto, che avete approfondito gli insegnamenti, probabilmente avete già chiara la questione che quando si parla di vacuità si intende l’interdipendenza, o meglio, che l’interdipendenza richiama la vacuità e viceversa.

Questa interdipendenza è fondamentale

Lama Tzong Khapa dice che questa è l’unica medicina che faccia guarire dalla malattia, dalla patologia del concepirsi come entità a sé stante, la medicina universale per far guarire da tutte le malattie. Ci sono tanti stati di sofferenza, di malattie, tanti malesseri che vengono provocati dall’attaccamento a qualcosa, dall’avversione verso qualcuno. Da tutte le afflizioni mentali, che sono 84.000. Tutto ciò è radicato nel concepire un’entità a sé stante che fa emergere tutte le patologie, tutte le sofferenze. Intervenendo su questa radice tutte le malattie che ne derivano, vengono guarite. Pensiamo a un albero velenoso: la radice di questo albero tossico è come l’aggrapparsi al sé, il concepire un’entità a sé stante. Tutte le 84.000 ramificazioni, patologie, sofferenze, tutte le afflizioni sono radicate nell’ignoranza del concepirsi come entità a sé stanti. Si parla di attaccamento, ignoranza, difetti di speculazione, orgoglio, dubbio… le afflizioni secondarie derivate da quelle principali. Tutto quello che produce sofferenza è radicato nell’ignoranza.

La radice di questa pianta velenosa rappresenta l’aggrapparsi al concepirsi come a sé stanti, di sé stesso e delle cose. L’albero si dirama in tutte le afflizioni mentali, di cui cinque sono la base – ignoranza, attaccamento, avversione, orgoglio, dubbio e visioni errate; queste ultime si dividono in cinque difetti di speculazione o interpretazioni scorrette della realtà. Quindi consideriamo dieci afflizioni principali.

Estirpando questa radice del concepirsi come a se stanti non hanno più ragion d’essere l’attaccamento, l’avversione, tutte le afflizioni vengono eliminate. Questa è una medicina universale per guarire da tutte le malattie. Sradicando questa patologia, l’interpretazione errata di fondo, concepirsi e concepire i fenomeni come entità a sé stanti, tutti gli altri derivati, le afflizioni e tormenti, non hanno più luogo d’esistere.

Il Buddha che ha presentato l’interdipendenza è l’insegnante insuperabile, perché ha dato questo sommo insegnamento. Essendo il Buddha dotato della perfetta conoscenza, dotato della realtà degli esseri, della perfetta compassione per tutti gli esseri migratori, dotato dei mezzi abili per trasmettere in modo idoneo e accurato questa realtà così sublime che è l’interdipendenza, e quindi il sublime fra coloro che sanno e coloro che esprimono gli insegnamenti. Il maestro è colui che esprime, colui che descrive, colui che ha mostrato l’insegnamento. Qual è questo sommo insegnamento insuperabile per cui il maestro Buddha è considerato insuperabile? L’interdipendenza. Sentite anche voi che il sommo insegnamento dell’interdipendenza è davvero importante?

È molto importante perseguire la comprensione della realtà, della vacuità e dell’interdipendenza. Seguire le scritture può portare a un certo tipo di acquisizione della nozione della realtà, ma non è altrettanto stabile, irreversibile e inamovibile. Non come quando, con metodi scientifici di ricerca, questa acquisizione risulta inossidabile e incontrovertibile, stabile, verificata di persona.

Questo è il tema da approfondire e in questi due giorni possiamo toccare concetti importanti. Voglio portare degli esempi, farvi acquisire informazioni piuttosto salde. Vi risulta verosimile il fatto che qualunque prodotto non derivi esclusivamente da una causa sola?

Per esempio, un’automobile funzionante su strada è un veicolo composto da tante parti, cause e condizioni. Non è sufficiente una sola delle varie cause e condizioni perché questa auto possa svolgere la sua funzione.

Qualunque prodotto è costruito e composto da varie, tante cause e condizioni, non solo da una sola. La funzionalità di un prodotto, che deve svolgere un certo tipo di funzione, si basa su cause e condizioni, una raccolta di fattori che permettono di svolgere una funzione. È necessaria la completezza di tutti quei fattori e cause perché possa svolgere la data funzione. Non basta una sola causa, non basta una sola delle condizioni necessarie per il suo esserci.

Caso per caso, ci possono essere delle condizioni e delle cause ottimali per la sua perfetta funzione: se la qualità è ottima, la sua funzione sarà perfetta. Se invece mancano dei pezzi o non sono perfetti, non avrà la massima resa. Ottimi componenti permettono a quel prodotto di dare la massima resa.

Nessuno dei prodotti, auto, navi, ecc., esiste in sé e di per sé, senza essere composto o determinato da altro, da parti. Ogni fenomeno, ogni evento funzionale è un insieme di varie parti, o componenti. Questa è una realtà universale e lo riscontriamo sempre nella vita. È chiarissimo che ogni cosa, ogni fenomeno abbia la caratteristica di dipendere da tanti fattori. Gli strumenti musicali con le corde – per esempio i violini, i violoncelli – sono prodotti di tanti fattori, cause e parti. Quindi è chiaro per noi che uno strumento a corda è composto di parti: cassa armonica, legno, corde… Tutto un insieme di parti che fanno sì che quell’oggetto diventi uno strumento musicale con un nome e capace di produrre quelle note.

Pensate che possa esserci qualcosa che non sia un insieme di parti, componenti e cause? No. Affatto, niente? Lo spazio vuoto che abbiamo qui? Lo spazio non dipende, non è in relazione da niente e da nessuno? Esiste di per sé o è in relazione a chi lo pensa? Escludere che lo spazio abbia un’esistenza a sé stante richiede che sia in relazione a qualcosa, a qualcuno. Quindi viene ad essere stabilito, sorge in base a qualcosa o a qualcuno. L’esistenza dello spazio vuoto da cosa dipende? Stiamo parlando dello spazio che permette il movimento, il fluire dei gas, dei liquidi, ecc., lo spazio vuoto che permette la presenza dell’aria.

Dire semplicemente che l’esistenza dello spazio dipende dalla mente, dal pensiero, potrebbe avere la conseguenza che questa parete ostruente potrebbe diventare non-ostruente, se la pensassimo come spazio vuoto. Non è questo potersi muovere attraverso l’elemento di spaziosità che permette il movimento, la non-ostruzione, ma il fatto che ci sia lo spazio. Che cosa lo stabilisce?

È come se il vuoto venisse stabilito dall’opposto del vuoto. È sulla base della sua entità, dello spazio stesso che c’è lo spazio. La caratteristica dello spazio è la non-ostruzione: questo permette la definizione “spazio”. La non-ostruzione è l’opposto dell’ostruzione: la presenza di tanti materiali che non permettono di farci stare altro. Quando ci fossero tanti materiali, la casa, le pareti, qualcosa di ostruente, non c’è altro. Invece lo spazio è questa assenza di ostruzione. Sono le caratteristiche di non-ostruzione che fanno sì che si possa definire lo spazio. Sulla base della non-ostruzione si stabilisce che c’è spazio perché non c’è nulla di ostruente. Il fatto che non siano presenti ostruzioni, fenomeni o contatti ostruenti, dove non c’è nulla che impedisca il movimento, allora sulla base di ciò si può dire che ci sia spazio.

Uno strumento a corda o una macchina che si rompe, qualunque oggetto smette di funzionare: cose che avevamo una volta ora non ci sono più. Rompendosi l’automobile, tutte le parti, le particelle, anche le particelle sottili cambiano, oppure no? Le particelle sono in costante trasformazione o meno?

L’auto, questo mezzo di locomozione, ha un guasto perché tutta una serie di particelle atomiche e subatomiche sono in movimento, sono in una trasformazione costante, per cui un certo tipo di trasformazione di parti e particelle fa sì che la macchina non funzioni più. Mentre stanno cambiando le particelle, si rompe la macchina. Questo trasformarsi delle particelle è qualcosa che succede prima che si rompa la macchina o solo nel mentre, o dopo? Mentre stanno trasformandosi le particelle, una volta che c’è stato un certo tipo di mutazione, che comporta anche funzioni, l’automobile subisce quel guasto, avviene che ci sia quella parte guasta. Quindi, questo trasformarsi delle particelle che comporta il guasto è precedente al guasto? Però il guasto è un evento del momento presente. Il guasto sta avvenendo in questo preciso momento, se i fattori del guasto, il mutamento delle parti e particelle della macchina, hanno avuto questo mutamento precedentemente al guasto? Se sono mutamenti avvenuti nel passato, allora sembra che non siano più funzionali a ciò che sta avvenendo adesso. Dire che sono avvenuti nel passato, vuol dire che non sono più presenti ora e quindi non sono più funzionali a quel guasto nel momento presente. Il pezzo che si guasta è un evento che si sta verificando nel presente. Parlare di trasformazione delle particelle avvenuta nel passato sconnette dal momento presente. Perché se arrivano le ore 13, le ore 12 sono già passate, non ci sono più. Stanno per arrivare le ore 14. È qualcosa che riguarda il momento presente, che non è ancora andato, disintegrato. Il presente è quello che non è ancora passato. Il passato implica qualcosa che non c’è. Il presente è qualcosa di infinitesimale, in termini di istanti temporali. Quindi, essendo così, è qualcosa che non è ancora passato, disintegrato. Mentre quel qualcosa ancora non è disintegrato, è presente. Essendo una frazione temporale così infinitesimale, c’è qualcosa di queste parti temporali che è descrivibile come presente.

Si parla dell’anno presente, del mese presente, lo possiamo considerare comunque presente? Solo l’infinitesimale è presente o è anche più temporalmente esteso? In generale, tutti i fenomeni che vengono definiti sono imputabili dalla mente: è la mente che definisce, descrive, concettualizza e categorizza.

Dov’è questo momento presente? Come lo si può definire? Nel mentre si rompe la macchina. In quel momento la macchina diventa passata. Il fatto che c’è un costante movimento di trasformazione lascia intendere che ci sia anche qualcosa che è presente. Possiamo collocare nel presente l’istante infinitesimale. Anche il minuto è presente? Sembra però contraddittorio con la collocazione del presente esclusivamente nell’istante infinitesimale. Ci sono tutti questi istanti temporali che fanno un minuto che a loro volta, uno dopo l’altro diventano “presenti”, sembra perciò che il movimento del tempo si blocchi attraverso queste frazioni.

La continuità del tempo è una sequenza di istanti che fluiscono uno dopo l’altro, creando così la continuità, sia materiale che mentale.

Siamo presenti in un flusso di tempo che è definibile a volte come istante, come secondo, come minuto, come ora. Lo definiamo in tanti modi, questo istante, questo presente. Si danno, quindi, diverse versioni del presente, diverse misure del periodo presente. L’anno 2011, l’anno presente, non è ancora andato, è presente? È presente. Essendo presente non è in disintegrazione, non è disintegrato. Pur essendo presente ha una sequenza di istanti in costante trasformazione, in costante disintegrazione. Allora perché lo chiamiamo presente? Ci sarà una ragione per cui lo chiamiamo presente. La questione più rilevante in questo frangente è considerare anche il movimento di trasformazione o meno del tempo presente. È in disintegrazione il tempo presente, sta mutando? Non stiamo cercando di verificare quelle che sono delle convenzioni stabilite a monte, qualcosa che è stato adottato nella storia per via delle considerazioni di qualcuno. Non stiamo mettendo in discussione questo.

Ci sono versioni accreditate dove la filosofia, le scoperte scientifiche e considerazioni in termini di psicologia della mente umana portano a delle conclusioni che a loro volta vengono seguite da altri, formulate o confermate da qualcuno, principi che poi vengono seguiti da altri.

Alle ore 14, le ore 13 sono andate, sono esaurite, sono consumate. Perché sono sparite le ore 13 alle ore 14? Qual è la causa del loro sparire? L’impermanenza è questo processo di trasformazione istantanea. Alle ore 14 la prima ora si è disintegrata, il primo istante si disintegra con l’arrivare del secondo istante. Cosa produce quella disintegrazione? Quando si dice si è consumato il tempo, è finito il tempo, cosa fa sì che il tempo si consumi? Qual è la causa del consumarsi del tempo? Cosa fa sì che ci sia il passare del tempo? Non può essere la vacuità, perché sarebbe come se essa stessa producesse essa stessa.

La causa del formarsi del primo istante è anche causa del suo disintegrarsi? È la medesima causa che lo forma e che gli permette di disintegrarsi? La causa di entrambi? Per esempio, l’arco e la freccia. Scoccate con l’arco la freccia: è la stessa causa la forza propulsiva che la fa salire in alto, che la fa anche precipitare? Perché la freccia scende, qual è la causa? La stessa forza propulsiva che l’ha fatta salire permette alla freccia di scendere?

Se non fosse salita, non potrebbe scendere. Lo stesso per il tempo: se non nascesse quel primo istante, non avrebbe luogo il suo disintegrarsi. In generale è così, ma qual è la causa del disintegrarsi del primo istante?

Non sto presentando alcuni temi esclusivi della filosofia buddhista, delle filosofie orientali o delle religioni dell’Oriente dove si parla delle vite passate e future. Sto cercando di tastare il terreno della vostra mente per verificare quelle che sono le somiglianze o le vicinanze in termini di concetti di base circa il tempo o lo spazio.

Tornando al guasto dell’automobile, che è composta da parti e particelle in costante mutamento, movimento e cambiamento delle stesse, grossolane e sottili. Il primo istante del guasto dell’automobile è simultaneo a questo mutamento delle particelle sottili? Gli stati precedenti di queste particelle favoriscono il guasto o coesistono nello stesso istante? Sono precedenti le cause sottili del guasto o meno? Potete portare un esempio che possa rappresentare questo mutamento sottile delle parti dell’automobile che si guasta? Se non ci fosse il movimento sottile delle particelle, non ci sarebbe neanche il guasto? Qualche esempio concreto che possa farci capire questo disintegrarsi dell’auto che non viene percepito fino a che non si manifesta la rottura?

Già dalla sua creazione, prima ancora che sia in uso, dal primo istante dell’auto nuova ha inizio la sua disintegrazione costante.

Il guasto che viene causato da tutti questi movimenti delle particelle avviene in simultanea con il trasformarsi nelle minime parti o prima? Quelle particelle si sono trasformate ed è avvenuto il guasto. La causa di questo primo trasformarsi qual è? Quel fattore precedente al trasformarsi delle particelle che fa sì che avvenga il guasto? Se non ci fosse stato un certo tipo di cambiamento nelle particelle della macchina, quel guasto non sarebbe avvenuto, giusto?

Torniamo al tempo, se non vi piace la macchina. Quello scorrere dell’ora, ore 13. Il passare del tempo che percepiamo in base a questo movimento, passare delle frazioni temporali che chiamiamo ore, minuti, ecc., questa relazione di continuità di queste frazioni rispetto all’ora, ci appaiono chiaramente? Capiamo che l’ora è un passare di tante frazioni? Forse questo esempio risulta più semplice. Il cambio delle lancette evidenzia i secondi, i minuti e poi al passaggio dell’ora si sposta anche la lancetta delle ore, una sequenza con alla fine un cambiamento costante. A volte può essere più difficile la comprensione della trasformazione della materia con il tempo che è astratto. Riconosco di non essere a volte abile nel descrivere a parole questa trasformazione di tutto, questa disintegrazione di tutto, non è facile descriverla. Sì, sicuramente ciò che è passato è passato. Se avete domande.

DOMANDA – Ci vuole un osservatore?

RISPOSTA – Se uno non avesse lo strumento di misura a portata di mano, potrebbe già configurarsi in qualche modo il passaggio dell’ora? Siamo tutti sul pianeta Terra e stiamo parlando di qualcuno che è presente, nel passato nessuno di noi c’era, io stesso non c’ero, attualmente siamo qui presenti e stiamo parlando di qualcosa che ci riguarda nella nostra esperienza.

La causa per il disintegrarsi del primo istante è la causa che lo crea. La questione della freccia che sale, la forza che l’ha spinta verso l’alto è la stessa per cui quella freccia poi cade. La causa che ci fa nascere è anche la causa del nostro morire, si muore perché si nasce. Quindi la causa del morire è la causa del nascere? Sì, se non fossimo nati non moriremmo neanche. La nascita di cui parla il Buddhismo è il primo istante del concepimento, non il momento del parto.

Cosa vuol dire morire? Il corpo muore o la mente svanisce? Stiamo parlando della nascita di questo corpo, la nascita e la crescita. Poi, quando smette di funzionare, si disattivano le forze e muore il corpo. Il corpo nasce dal congiungersi del liquido seminale del padre e l’ovulo della madre. Essendo questa la causa del formarsi del corpo, questa stessa causa è quella che fa sì che il corpo muoia? Quando il corpo diventa inutilizzabile, la stessa causa che fa sì che il corpo si animi, diventi utilizzabile, è quella stessa che produce il suo disanimarsi e che possa diventare inutilizzabile? Siamo tutti d’accordo che la stessa causa che lo fa nascere è quella per cui il corpo muore.

Non è strano che la stessa causa per cui tu nasci, per cui il tuo corpo cresce sia la stessa per cui il tuo corpo muore? È la stessa causa che ha fatto sì che il fiore sbocciasse, le cause di tutto, il fatto che i fiori sfioriscano, il fatto che non ci sia l’accudimento che fa sì che si secchino, che muoiano. Tutto risale in termini di causa a ciò che li ha prodotti? I fiori hanno queste cause che fanno sì che crescano, che fioriscano, che siano al loro meglio e poi che appassiscano. Questa causa che fa sì che il fiore nasca, cresca, ecc. è la stessa che fa sì che appassisca o muoia? Però se al fiore non dai l’acqua, questo si secca, e se lo metti troppo al sole potrebbe seccarsi prima del tempo. C’è l’intervento di questa condizione esterna, la mancanza di acqua, oppure l’eccesso di sole perché si secchi? Anche se ci sono queste condizioni, la causa del suo deteriorarsi è sempre quella che l’ha fatto nascere?

Quando si parla di relazione causa-effetto: rispetto alla sua causa l’effetto non esisterebbe se non ci fosse la causa. La causa è imprescindibile per l’effetto. In questo caso, invece, in cui c’è questo intervento di condizioni esterne: mancanza dell’innaffiatore, il sole che batte.

Quando si parla di causa, si intende ciò che beneficia quello che si chiama il suo effetto. Quel che si chiama l’effetto della causa è ciò che è beneficiato da quella causa. Se non ci fosse ciò che lo causa, l’effetto non esisterebbe. In termini di causa di qualunque cosa.

Anche se c’è il bulbo o il seme del fiore, se non lo annaffi muore. Il fiore da solo non è esaustivo, non è autosufficiente. Servono queste condizioni che supportano il suo crescere, il suo stare. Per cui, anche se c’è il bulbo, se mancassero le condizioni di supporto, non ci sarebbe il fiore.

Il fatto che ci siano cause e condizioni è ovvio. Il fatto dello stabilirsi di una cosa, causata dalla stessa origine del suo crescere, del suo nascere, del suo formarsi, è causa anche del suo morire.

Ci sono casi in cui qualcosa che viene usato come medicinale diventa poi velenoso? C’è uniformità quando un farmaco a un dato momento era medicinale e poi diventa velenoso? Hanno la medesima natura, sono della medesima sostanza?

DOMANDA – Se un fenomeno sorge, sorge anche insieme al suo opposto… questa dualità è a causa dell’impermanenza?

RISPOSTA – La luce stessa, qualcosa che è della natura della luce, sorge con le tenebre. La luce è già tenebra o ha già le tenebre? Ciò che è luminoso, che è della natura della luminosità, non si può dire che abbia simultaneamente la natura delle tenebre. Ci deve essere qualcosa che è luminoso, su questa base si stabilisce qualcosa che è tenebroso e viceversa, ma non coincidono l’uno e l’altro. Quel che è luminoso non è scuro. C’è la possibilità di un riconoscimento di qualcosa come luminosa rispetto a qualcos’altro che non è luminoso, questo sì. Ma non possiamo dire che sono un’unica entità, che l’uno è l’altro.

INTERVENTO – Se definisco il bene, automaticamente quello che non è bene è male. Se dico questo è bene, automaticamente tutto quello che non appartiene a questo non è bene e quindi ho creato l’opposto. Se sorge la luce è perché da qualche parte sorge l’oscurità.

RISPOSTA – Non sono d’accordo. È ovvio che per determinare una cosa rispetto all’altra si possa determinare qualcosa con esclusione dell’opposto. Ma l’uno non è la natura dell’altro: il buio non è luce e viceversa, non sono un’unica natura, un’unica entità. Si definisce la questione con il buonsenso: se c’è luce in una stanza non c’è buio, se è dolce non è amaro. I termini di dire questo è dolce, questo è amaro, questo è luminoso, questo è più scuro in relazione, si stabilisce l’uno e l’altro. Però dire quell’entità, quello è entrambi le nature non va bene.

Oggi pensateci, domani spiegheremo l’interdipendenza.

Molto contento della disponibilità, del vostro interesse, davvero compiaciuto della vostra presenza. Grazie

Ringraziamo i centri FPMT per fornire questo prezioso materiale e tutti i volontari che con il loro lavoro seguono le trascrizioni, le revisioni e la pubblicazione degli insegnamenti sul nostro sito, senza i quali tutto questo non sarebbe possibile.

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Questo insegnamento è stato dato da Khensur Rinpoce presso il Centro Tara Bianca di Genova nel 2011.

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