Tè e pasticcini con i propri demoni

Tè e pasticcini con i propri demoni

Ci sono alcuni modi in cui tradizionalmente tendiamo a relazionarci con i nostri demoni. Il più delle volte cerchiamo di liberarcene.

La prima strategia è scaraventarli addosso a qualcun altro, se sono troppo dolorosi da tenere con noi. È come passare una patata bollente emotiva. Rabbia, fastidio, gelosia: prendetevela voi! Questa strategia si rifà al vecchio adagio che l’infelicità ama la compagnia. Scaglierò il mio materiale demoniaco contro chi ho deciso essere la fonte del mio fastidio, ma vanno benissimo anche persone che non c’entrano nulla e passavano di lì per caso. Basta non dover affrontare il demone o restare soli in sua compagnia.

Il secondo modo è cercare di ignorarli per non doverli sentire o affrontare in modo diretto.

Questa è la mia strategia preferita, perché posso analizzare qualsiasi cosa fino a ridurla in poltiglia. Ho la sensazione che se riesco a capire perché mi sento in un certo modo, chi altro è coinvolto in una determinata situazione, in che modo la mia reazione ha a che fare con la mia infanzia, e come posso evitare di trovarmi in situazioni simili la prossima volta, allora mi convinco di aver capito quello che sento ed è tutto bello, ordinato e risolto. Posso andare avanti. “Capire” i nostri sentimenti, piuttosto che sentirli, è solo un modo sofisticato di aggirare il nostro rapporto con i nostri demoni. Capire qualcosa è diverso dal sentirla; c’è la stessa differenza che intercorre tra la creazione di una distanza intellettuale e lo sviluppo di una autentica intimità. La comprensione richiede tempo, vicinanza, e curiosità non giudicante.

Il terzo modo con cui ci relazioniamo con i nostri demoni è la cara, vecchia repressione. Ingoiamo tutto ciò che si genera nei momenti di stress e lo blocchiamo nel profondo delle nostre budella, in modo da poter continuare a fingere di stare “bene”. Questa strategia è abbastanza comune se ci troviamo in situazioni e società in cui non è permesso esprimere determinate emozioni. Dobbiamo essere civili, mantenere le apparenze, ricordarci di prenderci cura delle emozioni altrui e quindi seppelliamo i nostri sentimenti e i nostri bisogni. Questa è, naturalmente, la ricetta perfetta per far crescere alcuni demoni realmente oscuri, di quelli che proliferano grazie all’isolamento.

Quando reprimiamo quegli aspetti di noi che non sappiamo come gestire, non è che alla lunga scompaiono. Rimangono semplicemente non integrati, demonizzati, e con la tendenza a provocare una sorta di caos di sottofondo fino a quando non ci decidiamo ad affrontarli. Se tutti questi metodi per venire a patti con i demoni vi ricordano come i monaci volevano affrontare Mara, ci avete azzeccato.

Come i monaci, anche noi abbiamo a che fare con la naturale e umana tendenza a incarnare l’aggressività, l’attaccamento e l’ignoranza nelle loro varie manifestazioni. Il problema di tutte e tre queste strategie è che esse mettono un cuneo tra noi e i nostri demoni, ma nessuna funziona a lungo termine.

È solo invitando i nostri demoni, i nostri stati d’animo confusi a prendere un tè con noi che possiamo sentirli veramente, comprenderli e accettarli come parte di noi stessi, come piccoli visitatori disorientati sullo sfondo della nostra intrinseca illuminazione. Invece di reagire seguendo le nostre tendenze abituali, è utile affrontare direttamente questi stati d’animo. Se mi accorgo di essere “con” l’ansia, le do un riconoscimento. Questo spesso significa interrompere qualsiasi cosa io stia facendo per chiamarla con il suo nome. Ciao, piccola creatura urticante, spero che tu abbia acceso il bollitore…

Onestamente, affrontare un demone può essere molto semplice. Concedersi qualche istante per notare i nostri pensieri, sentire il nostro corpo e la sensazione di ciò con cui ci troviamo crea un dialogo amichevole che non indulge né reprime i nostri demoni. Nel caso di quella ingestibile lezione di meditazione, sono riuscita a fermarmi e a notare la mia irritazione. Ciao, vecchia amica. Sono contenta di vederti. Prestandole attenzione diretta e lo spazio di cui aveva bisogno per placarsi, sono riuscita a riunire i partecipanti e a iniziare la pratica. Spesso dietro il nostro materiale demoniaco c’è una certa tenerezza in agguato e che ha solo bisogno di uno spazio sicuro per essere sentita.

La nostra volontà di fare amicizia con il dolore e il disagio è il modo in cui il nostro materiale demoniaco trova la propria redenzione, e in questa redenzione noi troviamo una fede duratura nella nostra integrità, quel tipo di integrità che include tutto.

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Meditazione sulla vacuità

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Traduttore e curatore: Leonardo Cirulli
Edizione: brossura, 1100 pagine, illustrato (bianco e nero)
ISBN: 978-88-942873-0-1

In questo importante lavoro, Jeffrey Hopkins, uno dei più eminenti studiosi del Buddhismo tibetano, offre una chiara esposizione della visione di Prasangika-Madhyamaka della vacuità presentata nella tradizione Gelug del Buddhismo tibetano.

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