Come si raggiunge il calmo dimorare (prima parte)

Come si raggiunge il calmo dimorare (prima parte)

Tratto da “The Great Exposition of Secret Mantra”, vol. 3, Tsongkhapa, Snow Lion, 2017

Il calmo dimorare consiste principalmente in una meditazione stabilizzante, in cui la mente viene tenuta su un singolo oggetto, diversa perciò dalla meditazione analitica, in cui argomenti come l’impermanenza o la vacuità vengono analizzati per mezzo del ragionamento. Dato che una mente dispersa nei suoi vari oggetti esterni è poco efficace, lo scopo di sviluppare il calmo dimorare è proprio quello di rendere la mente più efficace. Se non possedete quel tipo di concentrazione in cui la mente si trova in una condizione stabile, chiara e non vacillante, la saggezza non può conoscere il suo oggetto così com’è, nei suoi aspetti più sottili; perciò, è necessario avere una mente molto focalizzata. Inoltre, pur possedendo la capacità di concentrazione, questa non può far nulla contro quella concezione errata che vede gli oggetti esistere in sé e per sé. Da qui la necessità di unire la concentrazione con la saggezza che realizza la vacuità di esistenza intrinseca.

In generale, nel Veicolo del Mantra e in particolare nel Tantra Yoga, vengono descritte molte tecniche per facilitare l’ottenimento del calmo dimorare; considereremo prima le tecniche condivise da tutti i sistemi. La postura del corpo è importante. Sedete a gambe incrociate, la spina dorsale dritta come una freccia. Le spalle si trovano allo stesso livello e le mani nella posizione dell’equilibrio meditativo, quattro dita sotto l’ombelico, la mano destra distesa sulla mano sinistra e i pollici che si toccano, a formare un triangolo. Il collo, leggermente piegato verso il basso, come quello di un pavone, permetterà alla bocca e ai denti di stare in una posizione naturale, la punta della lingua tocca il palato, dietro i denti centrali. Gli occhi guardano leggermente verso il basso; non vi è necessità che siano rivolti verso la punta del naso; possono anche essere rivolti verso il pavimento davanti a voi, se vi viene più naturale. Non tenete gli occhi troppo aperti né costringeteli a stare chiusi; solo un po’ aperti. Anche se sono aperti, quando la vostra coscienza mentale sarà stabile sul suo oggetto, ciò che appare alla vostra coscienza visiva, non sarà di disturbo dato che non lo noterete. Va bene anche chiuderli ogni tanto, se vi viene naturale.

Per porre la mente sull’oggetto di osservazione in modo stabile, all’inizio è necessario usare un oggetto di osservazione adatto a contrastare la vostra emozione afflittiva dominante, dato che essa è fortemente radicata nella mente e potrà facilmente interrompere qualsiasi tentativo di concentrarla. Perciò il Buddha ha descritto diversi tipi di oggetti per purificare il comportamento:

  • Per coloro la cui emozione afflittiva dominante è il desiderio, la bruttezza costituirà un utile oggetto di meditazione. In questo caso, il termine “bruttezza”, non deve per forza riferirsi a qualcosa di deforme; la natura stessa del nostro corpo, composto di sangue, carne, ossa e così via, può apparentemente sembrare di bell’aspetto e di un bel colore, ma se lo investigate attentamente, vi accorgerete che la sua essenza è piuttosto diversa: vi sono sostanze come le ossa, il sangue, l’urina, le feci e così via.
  • Per coloro che si trovano spesso alle prese con l’odio, l’oggetto di meditazione è l’amore.
  • Per coloro che si trovano principalmente in uno stato di oscurazione, la meditazione adatta è quella sui dodici anelli di origine dipendente perché la contemplazione della loro complessità favorisce l’intelligenza.
  • Per coloro la cui emozione afflittiva dominante è l’orgoglio, la meditazione potrebbe essere quella sulle varie suddivisioni dei costituenti di base perché quando si medita su queste divisioni, si realizza che vi sono molte cose che ancora non sappiamo e ciò diminuisce un esagerato senso di sé.
  • Coloro che sono dominati dalla concettualizzazione possono osservare i movimenti di inspirazione ed espirazione del respiro perché legando la mente al respiro si diminuisce la discorsività interiore.

Un oggetto particolarmente d’aiuto per tutte le tipologie di persone è la figura del Buddha perché la concentrazione sul corpo del Buddha fa sì che la mente si unisca alle sue qualità virtuose. Qualunque sia l’oggetto, questa meditazione non ha a che fare con l’osservazione fatta con i propri occhi di un oggetto esterno, ma con il formare un’immagine di quell’oggetto che si manifesti alla nostra coscienza mentale.

Ad esempio, se dovete concentrarvi sul corpo di Buddha, avete prima bisogno di conoscerlo bene ascoltando una sua descrizione o guardando un’immagine o una statua, abituandovi ad essa in modo che possa apparire nella vostra mente in modo molto chiaro. Quindi immaginatelo a quattro piedi di distanza, all’altezza delle vostre sopracciglia, alto circa due pollici. Nella meditazione avrà un aspetto chiaro, la sua natura sarà quella di una luce brillante; questo aiuta a impedire il sorgere del torpore, una condizione della mente in cui il modo di apprendimento è fin troppo allentato, vago. È bene inoltre considerare il Buddha così visualizzato, come un corpo pesante; questo aiuta a prevenire l’eccitazione, una condizione della mente in cui il modo di apprendimento è fin troppo stretto e rigido. Inoltre, ridurre quanto più possibile le dimensioni dell’oggetto, vi aiuterà a ritirare la mente in sé, canalizzandola in modo efficace. Una volta che l’oggetto è stato determinato all’inizio della meditazione, non se ne deve mutare natura o dimensioni; deve rimanere così fissato per tutta la durata della generazione del calmo dimorare.

Per prima cosa, fate apparire l’oggetto alla vostra mente. Poi, tenetelo con consapevolezza, in modo da non perderlo. La consapevolezza fa parte della capacità di non dimenticare e fa sì che la mente non si rivolga ad altri oggetti; è ciò che mantiene la mente sul suo oggetto di osservazione senza che si distragga con qualcos’altro. Deve essere addestrata e rafforzata riportando ogni volta la mente sul proprio oggetto.

Oltre a mantenere visualizzato l’oggetto di osservazione con l’aiuto della consapevolezza, dovete controllare, come da dietro un angolo, che l’oggetto sia chiaro e stabile; la facoltà che sovrintende a questo tipo di controllo è chiamata introspezione. Anche quando venga raggiunto un livello di consapevolezza forte e stabile e sia generata l’introspezione, la funzione non ordinaria dell’introspezione è quella di indagare ulteriormente, di tanto in tanto, che la mente non cada sotto l’influenza dell’eccitazione o del torpore. Ciò è dovuto al fatto che per mantenersi stabile sull’oggetto, la mente ha bisogno di due qualità:

  • Grande chiarezza, o nitidezza, sia dell’oggetto che della coscienza stessa.
  • Stare univocamente, cioè esclusivamente, sull’oggetto di osservazione.

Due fattori impediscono lo sviluppo di queste due qualità: il torpore e l’eccitazione. Il torpore impedisce lo sviluppo della chiarezza e l’eccitazione impedisce quello stare in modo stabile con l’oggetto.

(segue)

Traduzione a cura di Francesco Cappellini

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Meditazione sulla vacuità

Jeffrey Hopkins
Traduttore e curatore: Leonardo Cirulli
Edizione: brossura, 1100 pagine, illustrato (bianco e nero)
ISBN: 978-88-942873-0-1

In questo importante lavoro, Jeffrey Hopkins, uno dei più eminenti studiosi del Buddhismo tibetano, offre una chiara esposizione della visione di Prasangika-Madhyamaka della vacuità presentata nella tradizione Gelug del Buddhismo tibetano.

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