Come studiare il Dharma

Come studiare il Dharma

Pubblichiamo un’anticipazione tratta dal terzo volume della collana “Saggezza e compassione” di Sua Santità il XIV Dalai Lama intitolato Samsara, Nirvana e natura di Buddha. Il libro sarò disponibile entro ottobre.

Come per qualsiasi attività, l’atteggiamento e la motivazione con cui studiamo e pratichiamo il Buddhadharma determinano il valore delle nostre azioni. Tenere a mente i sei fattori che seguono vi permetterà di avere una motivazione benefica. 

In primo luogo, consideratevi come una persona ammalata che vuole guarire. La nostra malattia è rappresentata dall’esistenza ciclica e da duḥkha, le circostanze insoddisfacenti che la pervadono: essere soggetti alla nascita, all’invecchiamento, alla malattia e alla morte, condizionati dalle afflizioni mentali e dal karma, senza ottenere ciò che vogliamo, separati da ciò che amiamo, oppure costretti da affrontare problemi che di certo non desideriamo. Ritenendoci “malati”, ci avvicineremo agli insegnamenti con sincerità e mente aperta. 

In secondo luogo, consideriamo il maestro come un medico gentile che diagnostica correttamente la nostra malattia e prescrive la medicina per curarla. Il nostro saṃsāra è radicato nelle afflizioni mentali, la principale delle quali è l’ignoranza che fraintende la natura ultima dei fenomeni. Pur desiderando la felicità, la nostra mente è continuamente sopraffatta da attaccamento, rabbia e confusione che ci causano infelicità, qui e ora, e creano il karma per futuri duḥkha. 

Terzo, vedere gli insegnamenti come una medicina che curerà la nostra malattia. Il Buddha prescrive la medicina dei tre addestramenti superiori alla condotta etica, alla concentrazione e alla saggezza, nonché la medicina della bodhicitta e delle sei perfezioni: generosità, condotta etica, coraggio, sforzo gioioso, stabilità meditativa e saggezza. Quarto, capire che mettere in pratica gli insegnamenti è il metodo per guarire. 

Quando siamo malati, è normale rispettare il medico, fidarci della medicina e quindi prenderla, anche se non ha un buon sapore. Se invece mettiamo in dubbio il suo parere o ci lamentiamo del farmaco, non lo assumeremo. Allo stesso modo, se non rispettiamo il Buddha e il Dharma, non praticheremo. E inoltre: se abbiamo una ricetta medica ma non la utilizziamo o, se lo facciamo, non prendiamo ciò che ci è stato prescritto, non guariremo. Dobbiamo sforzarci di imparare e praticare il Dharma e non limitarci a collezionare statue, testi e mala. La cura della malattia è un processo di collaborazione tra medico e paziente; entrambi devono fare la propria parte. Nel Sūtra Re della Concentrazione si legge (LC 1:60-61): 

Alcune persone sono malate, il loro corpo è tormentato; 

per molti anni non hanno provato nemmeno un sollievo temporaneo. 

Afflitte dalla malattia per molto tempo, 

cercano un medico, per trovare una cura. 

Cercando ancora e ancora, 

alla fine trovano un medico con abilità e conoscenza. 

Trattando i pazienti con compassione, 

il medico dà la medicina dicendo: “Ecco, prendi questa”. 

Questa medicina è completa, buona e preziosa. 

Curerà la malattia, ma i pazienti non la prendono. 

Non è un problema del medico, né una colpa della medicina. 

È solo negligenza di chi è malato. 

Ho spiegato quest’ottimo insegnamento. 

Ma se voi, dopo averlo ascoltato, non lo mettete in pratica correttamente, 

allora, proprio come un malato che tiene in mano una borsa di medicine, 

la vostra malattia non potrà essere curata. 

Prendere la medicina significa guardare oltre le parole che ascoltiamo e cercare di capire il loro significato più profondo e, quando sarà chiaro nella nostra mente, metterlo in pratica con coerenza. Allora, e solo allora, la nostra malattia – duḥkha e le afflizioni mentali – saranno curate. Quando prendiamo una medicina ordinaria, dobbiamo seguire le istruzioni in modo corretto e per tutto il tempo che è necessario. Se lo facciamo solo per qualche giorno e poi smettiamo, non guariremo; se non ci piace il sapore della medicina e la mescoliamo con qualcosa che abbia un gusto migliore, non guariremo. Il nostro impegno a praticare gli insegnamenti al meglio delle nostre capacità è un elemento cruciale al fine del nostro risveglio. 

Quinto, considerare i buddha come esseri eccellenti, saggi e compassionevoli; sesto, pregare che gli insegnamenti esistano per molto tempo, in modo che molti esseri senzienti possano beneficiarne. 

Infine, dobbiamo coltivare una motivazione altruistica, pensando: “Voglio liberarmi dal duḥkha del saṃsāra, cercherò la medicina del Buddha che, se praticata correttamente, mi porterà in salute. Ma non sono l’unico malato; anche innumerevoli esseri senzienti vagano nel saṃsāra e soffrono a causa delle afflizioni. Che io possa diventare un medico abile e compassionevole come il Buddha, in modo da poter aiutare tutti gli altri esseri senzienti a liberarsi dal duḥkha del saṃsāra”.

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