Imparare a stare con noi stessi. Con gentilezza

Imparare a stare con noi stessi. Con gentilezza

Nella meditazione scopriamo la nostra intrinseca irrequietezza. A volte ci alziamo e ce ne andiamo. A volte ci sediamo, ma il nostro corpo si agita, si contorce e la nostra mente inizia a vagare. Meditare ci sembra così scomodo che è impossibile andare avanti. Eppure, questa sensazione può insegnarci moltissimo non solo su noi stessi, ma anche su ciò che significa essere umani.

Tutti noi traiamo sicurezza e conforto dal mondo immaginario dei ricordi, delle fantasie e dei progetti. Non vogliamo proprio rimanere nella nudità della nostra esperienza attuale. Rimanere presenti è un po’ come andare controcorrente e ci sono momenti in cui solo la gentilezza e il senso dell’umorismo ci danno la forza di fermarci.

Imparare a rimanere con noi stessi nella meditazione è come addestrare un cane. Se addestriamo un cane picchiandolo, ci ritroveremo con un cane obbediente ma molto inflessibile e piuttosto terrorizzato. Il cane può obbedire quando gli diciamo: “Resta!”. “Vieni!” “Girati!” e “Siediti!”, ma sarà anche nevrotico e confuso. Al contrario, l’addestramento con gentilezza ci rende persone flessibili e sicure di sé, non ci agitiamo quando le circostanze sono imprevedibili e incerte.

Quindi, ogni volta che ci verrebbe da smettere, alzarci dal cuscino e andare a fare altro, dovremmo delicatamente incoraggiare noi stessi a “restare”. Siamo inquieti? Restiamo! La mente è super discorsiva? Rimaniamo! La paura e il senso di colpa sono fuori controllo? Rimaniamo! Ginocchia fanno un male cane e la schiena brucia? Rimaniamo! Cosa c’è per pranzo? Rimaniamo! Cosa sto facendo qui? Rimaniamo! Non posso sopportare un altro minuto! Rimaniamo! Ecco come coltivare la fermezza.

Vedere con chiarezza
Dopo aver meditato per un po’ di tempo, è comune sentire che stiamo regredendo piuttosto che svegliarci. “Prima di iniziare a meditare, ero abbastanza tranquilla; ora mi sembra di essere sempre irrequieta”. “Prima non provavo mai rabbia; ora si presenta sempre”. Potremmo addirittura arrivare a credere che la meditazione stia rovinando la nostra vita, ma in realtà queste esperienze sono un segnale che stiamo iniziando a vedere con maggiore chiarezza. Attraverso il processo di praticare giorno dopo giorno, anno dopo anno, iniziamo a essere molto onesti con noi stessi. Vedere chiaro è un altro modo per dire che abbiamo meno autoinganni.

La meditazione richiede pazienza e maitri. Se non è basato sull’autocompassione, diventerà un processo di auto-aggressione. Abbiamo bisogno di compassione per noi stessi per stabilizzare la nostra mente. Ne abbiamo bisogno per lavorare con le nostre emozioni. Ne abbiamo bisogno per rimanere.

Quando impariamo a meditare, ci viene chiesto di sederci in una certa posizione su un cuscino o una sedia. Ci viene chiesto di essere nel momento presente, consapevoli del nostro respiro. Ci viene detto che quando la nostra mente si allontana, senza alcuna asprezza o giudizio, dobbiamo riconoscerlo come ‘pensiero’ e tornare alla respirazione. Ci alleniamo a tornare all’essere qui. Mentre lo facciamo, la nostra nebbia, il nostro smarrimento, la nostra ignoranza iniziano a trasformarsi in una visione chiara. “Pensare” diventa una parola in codice per vedere “solo ciò che è”, sia la nostra chiarezza sia la nostra confusione. Non stiamo cercando di liberarci dai pensieri. Piuttosto, vediamo chiaramente i nostri meccanismi di difesa, le nostre convinzioni negative su noi stessi, i nostri desideri e le nostre aspettative. Vediamo anche la nostra gentilezza, il nostro coraggio, la nostra saggezza.

Attraverso la pratica regolare della consapevolezza, non possiamo più nasconderci da noi stessi. Vediamo chiaramente le barriere che abbiamo eretto per proteggerci dalla nuda esperienza. Sebbene continuiamo ad associare i muri che abbiamo eretto alla sicurezza e al comfort, iniziamo anche a sentirli come una costrizione. Questa situazione claustrofobica è importante per un guerriero spirituale. Segna l’inizio del desiderio di un’alternativa al nostro mondo piccolo e familiare. Cominciamo a cercare più ariosità. Vogliamo dissolvere le barriere tra noi e gli altri.

Sperimentare il nostro disagio emotivo
Molte persone, compresi i praticanti di lunga data, utilizzano la meditazione come mezzo per sfuggire alle emozioni difficili. È possibile abusare dell’etichetta “pensare” come un modo per allontanare la negatività. Non importa quante volte ci sia stato detto di rimanere aperti a qualsiasi cosa si presenti, possiamo ancora usare la meditazione come una repressione. La trasformazione avviene solo quando ci ricordiamo, respiro dopo respiro, anno dopo anno, di andare incontro al nostro disagio emotivo senza condannare o giustificare la nostra esperienza.

Trungpa Rinpoche descrive l’emozione come una combinazione di energia e pensieri autoesistenti. Le emozioni non possono proliferare senza le nostre conversazioni interne. Se siamo arrabbiati quando ci sediamo per meditare, ci viene chiesto di etichettare i pensieri come “pensieri” e di lasciarli andare. Tuttavia, sotto di essi rimane qualcosa, un’energia vitale e pulsante. Non c’è nulla di sbagliato, nulla di dannoso in questa energia sottostante. La nostra pratica consiste nel rimanere con essa, sperimentarla, lasciarla così com’è, senza amplificarla.

Esistono alcune tecniche avanzate in cui si sollecitano intenzionalmente le emozioni pensando a persone o situazioni che ci fanno arrabbiare o desiderare o avere paura. La pratica consiste nel lasciare andare i pensieri e connettersi direttamente con l’energia, chiedendosi: “Chi sono io senza questi pensieri?”. Quello che facciamo con la pratica della consapevolezza è più semplice, ma altrettanto audace. Quando l’angoscia emotiva si presenta senza essere invitata, lasciamo andare la trama della storia e rimaniamo con l’energia di quel momento. Si tratta di un’esperienza sentita, non della “telecronaca” di ciò che sta accadendo. Possiamo sentire l’energia nel nostro corpo. Se riusciamo a rimanere con essa, senza commentarla o reprimerla, ci risveglia. Le persone spesso dicono: “Mi addormento sempre durante la meditazione. Cosa devo fare?”. Ci sono molti antidoti alla sonnolenza, ma il mio preferito è: “Arrabbiati!”.

Non rispettare la nostra energia è un’abitudine umana prevedibile. Agire e reprimere sono tattiche che utilizziamo per allontanarci dal nostro dolore emotivo. Per esempio, la maggior parte di noi quando è arrabbiata urla o manifesta la rabbia. Alterniamo le manifestazioni di rabbia con la vergogna e ci crogioliamo in questo mix. Rimaniamo talmente bloccati in un comportamento ripetitivo che diventiamo esperti nell’agitarci. In questo modo continuiamo a rafforzare le nostre emozioni distruttive.

Nel Buddismo Vajrayana si dice che la saggezza è insita nelle emozioni. Quando lottiamo contro la nostra energia, rifiutiamo anche la fonte della saggezza. La rabbia senza la fissazione non è altro che la saggezza speculare. L’orgoglio e l’invidia senza fissazione sono vissuti come equanimità. L’energia della passione, quando è libera dall’attaccamento, è la saggezza della consapevolezza discriminante.

Nell’allenamento alla bodhichitta accogliamo anche l’energia pulsante delle emozioni. Quando le nostre emozioni si intensificano, di solito proviamo paura. Questa paura è sempre in agguato nella nostra vita. Nella meditazione seduta ci esercitiamo ad abbandonare qualsiasi storia ci stiamo raccontando e a entrare in contatto con le emozioni e la paura. In questo modo ci alleniamo ad aprire il cuore timoroso all’irrequietezza della nostra energia. Impariamo a convivere con l’esperienza del nostro disagio emotivo.

Attenzione al momento presente
Un altro fattore che coltiviamo nel processo trasformativo della meditazione è l’attenzione al momento presente. Facciamo la scelta, momento per momento, di essere pienamente qui. L’attenzione alla mente e al corpo del momento presente è un modo di essere teneri verso se stessi, verso gli altri e verso il mondo. Questa qualità di attenzione è insita nella nostra capacità di amare.

Tornare al momento presente richiede un certo sforzo, ma lo sforzo è molto leggero. L’istruzione è di “toccare e andare”. Tocchiamo i pensieri riconoscendoli come pensieri e poi li lasciamo andare. È un modo per rilassare la nostra lotta, come toccare una bolla con una piuma. È un approccio non aggressivo all’essere qui.

A volte scopriamo che i nostri pensieri ci piacciono così tanto che non vogliamo lasciarli andare. Guardare il nostro “video” personale è molto più divertente che riportare la nostra mente a casa. Non c’è dubbio che il nostro mondo di fantasia può essere molto ghiotto e seducente. Quindi ci alleniamo a usare uno sforzo “morbido”, a interrompere i nostri schemi abituali; ci alleniamo a coltivare lla compassione per noi stessi.

Pratichiamo la meditazione per connetterci con la maitri e l’apertura incondizionata. Non bloccando deliberatamente nulla, toccando direttamente i nostri pensieri e poi lasciandoli andare senza preoccuparsi, possiamo scoprire che la nostra energia fondamentale è tenera, sana e fresca. Possiamo iniziare ad allenarci come un guerriero, scoprendo da soli che è la bodhichitta, non la confusione, ad essere fondamentale.

Tradotto da Buddhist Meditation is Relaxing with the Truth

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